Alcuni mesi fa, la morte di Abdullah Mohamed, bracciante sudanese giunto a Nardò, nel salentino, per un posto di lavoro che gli permettesse di mantenere se stesso e la sua famiglia, ha scosso l’opinione pubblica. Mohamed aveva 47 anni, una moglie e due figli, ma nessuna tutela da parte dello Stato. Mohamed è morto, qualche giorno dopo il suo arrivo, sotto i 40 gradi del sole pugliese, colto da un malore mentre raccoglieva pomodori nei campi. Come lui, Paola, italiana di 49 anni, e Arcangelo, 42. Ad agosto, in due incidenti stradali hanno causato una strage di braccianti: il bilancio è stato di 16 morti in poche ore.

Il responsabile di questo sangue è l’incessante giro di schiavitù umana diffusa principalmente nel sud Italia e in particolare in Puglia. L’agricoltura italiana continua ogni giorno a ricoprirsi di vergogna. La legge contro il caporalato è ormai in vigore e tutti attendono i risultati auspicati.

Lo stabilimento Princes

I pomodori, cosi come tutti i prodotti della natura che arrivano sulla nostra tavola, sono talvolta il risultato di una forma di schiavitù lavorativa al limite dell’umano. Eppure c’è un mondo, nel sistema agroalimentare, che resiste allo sfruttamento e al caporalato. Dove acquistare i beni prodotti nella legalità e nel rispetto dei diritti dei lavoratori?
A Foggia, Princes Industrie Alimentari e Caritas, insieme, sostengono il lavoro etico. Si tratta del progetto Lavoro senza frontiere, che intende promuovere condizioni di lavoro etico nella filiera del pomodoro, in un territorio – quello di Capitanata – fortemente segnato dal caporalato e dallo sfruttamento nei campi.
Molte sono le iniziative e le realtà nate più o meno recentemente al Sud per contrastare la schiavitù nei campi. Combattono da anni associazioni come Solidaria di Bari, Diritti al Sud di Nardò e Osservatorio Migranti Basilicata/Fuori dal Ghetto di Palazzo San Gervasio. Realtà territoriali che hanno da tempo deciso di creare una rete di lavoratori formata da migranti, giovani disoccupati e precari, contro lo sfruttamento del lavoro, coltivando e raccogliendo pomodori per produrne una salsa che viene poi distribuita in circuiti alternativi e solidali.

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Il marchio attraverso cui operano si chiama Sfruttazero e sul web ha lanciato la sua raccolta fondi per finanziare la fase iniziale di start up. Sempre sulla stessa direzione c’è Funky Tomato, azienda che coltiva, raccoglie e imbottiglia pomodoro a filiera partecipata nei principali territori a rischio di illegalità, come Basilicata e Puglia. Questo progetto, opponendosi al pagamento a cottimo dei lavoratori mediante l’offerta di un regolare contratto, trova finanziamento grazie ai clienti stessi che, precedentemente, hanno acquistato i prodotti.

Intanto, per un consumo più equo, è nato in Puglia il progetto regionale intitolato Equapulia, ideato per garantire migliori condizioni di vita e di lavoro per i migranti che risiedono in campagna, con incentivi e contribuiti a favore dei lavoratori. Grazie all’intesa con i principali operatori della Grande Distribuzione Organizzata, Equapulia cerca di favorire i prodotti di imprese che garantiscono rapporti di lavoro regolari con gli immigrati e che garantiscono loro una paga dignitosa e condizioni di vita migliori.

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Sempre in Puglia, questa volta a Rignano Garganico, è stata messa in piedi una vera e propria radio di braccianti, Radio Ghetto, che trasmette direttamente da una piccola baracca allestita con un mixer dove vanno in onda i racconti multilingue e multiculturali dei raccoglitori di pomodori. L’esistenza di queste realtà permette ai lavoratori stranieri una maggior tutela e soprattutto una via di fuga dalla condizione di schiavitù di alcune imprese meridionali. Perché sconfiggere davvero il caporalato si può.

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