Nelle prossime ore Luigi di Maio firmerà un decreto ministeriale per bloccare l’export di armamenti verso la Turchia “per tutto quello che riguarda il futuro dei prossimi contratti e dei prossimi impegni”. Oggi, il ministro degli Esteri ha precisato che “saranno valutati anche i contratti in essere”. Una decisione che segue quella analoga della Germania, Francia, Olanda, Norvegia e Finlandia. Non ci sarà, tuttavia, un “embargo europeo” nella vendita di armi ad Ankara, ha aggiunto Di Maio. Il leader del Pd Zingaretti propone di “valutare una forza di interposizione al confine” e per il premier Conte: “fermare l’export di armi non basta. L’Italia appoggerà qualsiasi iniziativa che porti allo stop dell’offensiva turca”.

Cresce intanto la tensione nel nord della Siria. Il bilancio dell’Onu finora è durissimo: centinaia sono i morti e 275 mila gli sfollati dall’inizio del conflitto. Da Bruxelles al Cremlino, sono tutti contro Erdogan: “Fermi i bombardamenti” è la voce unanime. Anche la Siria si è schierata al fianco dei curdi e da oggi  l’esercito siriano ha il “totale controllo” di Manbij, località curda strategica nel Rojava. Mosca ha annunciato di voler evitare ad ogni costo uno scontro tra Turchia e Siria e al confine si iniziano a vedere blindati russi affiancati a quelli siriani.

Foto: Getty Images

Nelle ultime ore, le forze turche hanno conquistato le città di Tel Abyad e di Ras al-Ain, dove in un raid è stato colpito anche un convoglio sul quale viaggiavano giornalisti stranieri. Due cronisti e 26 civili sono stati uccisi e altri sei sono rimasti feriti. Sabato, un’autobomba è invece esplosa nei pressi di una prigione dove sono detenuti militanti dello Stato islamico nel nordest della Siria. Il portavoce delle forze curde Mustafa Bali ha attribuito la responsabilità dell’attacco all’Isis. Poche ore dopo, sei civili siriani sono stati uccisi sommariamente a sangue freddo da miliziani filo-turchi. Tra loro anche l’attivista per i diritti delle donne Hevrin Khalaf, considerata dagli uomini dell’Isis una miscredente.  Il risveglio dei terroristi del Daesh è stata la prima conseguenza degli attacchi turchi e fonti siriane accusano Erdogan di aver reclutato i miliziani dell’Isis in questa guerra contro i curdi, mentre mille ex combattenti di Daesh sarebbero già in fuga.

Angela Merkel ha chiamato Recep Tayyip Erdogan e gli ha chiesto di interrompere “immediatamente” l’operazione militare nel nord della Siria, una richiesta rinviata al mittente dal premier turco.  

La Turchia e i curdi

Il governo turco considera le principali milizie armate curde, le YPG (Unità di Protezione Popolare), un gruppo terroristico e le ritiene la continuazione del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), partito politico curdo che per decenni ha combattuto contro il governo turco per creare un proprio stato indipendente.

Per comprendere le ragioni del conflitto occorre però fare alcuni passi indietro.

Nel 2011, la Turchia combatteva sia il regime siriano di Bashar al Assad, per instaurare in Siria un regime islamista sunnita alleato di quello turco (Assad è allineato con gli sciiti), sia i curdi siriani, per tenerli lontani dal proprio confine meridionale.

La situazione si è complicata nel 2014, quando gli Stati Uniti, allora governati da Barak Obama, hanno iniziato la guerra contro l’Isis, che controllava buona parte del paese. Gli Usa non volevano impiegare proprie truppe di terra e hanno stretto un accordo con i curdi siriani, che si erano dimostrati molto abili in battaglia ed erano interessati a recuperare i territori del nord della Siria abitati in prevalenza da curdi. La Turchia continuava, intanto, i bombardamenti contro la popolazione curda e l’allenza curdo-americana costituiva un problema importante poiché Turchia e Stati Uniti erano entrambi membri della NATO.

Nell’estate 2016, mentre i curdi erano impegnati nella guerra contro l’Isis (o Daesh), la Turchia è entrata con i carri armati nel nord della Siria, per liberare e conquistare alcuni territori occupati dall’Isis. La Turchia, in quell’incursione, è stata appoggiata dall’Esercito Libero Siriano, un gruppo di ribelli sunniti in guerra contro il regime di Assad. Nel gennaio 2018, le forze turche, con l’appoggio dell’Esercito Libero Siriano, hanno attaccato la città di Afrin, da due anni controllata dai curdi siriani.

Da quel momento, i territori a ovest del fiume Eufrate sono controllati dalla Turchia e dai loro alleati, mentre quelli a est dai curdi siriani.

Una mappa aggiornata del nord della Siria. I verdi sono le forze alleate della Turchia, i gialli sono i curdi siriani, i rossi sono il regime di Assad e alleati. La Turchia vorrebbe creare una “safe zone” nei territori oggi in giallo, a est del fiume Eufrate (Liveuamap)
Una mappa aggiornata del nord della Siria. I verdi sono le forze alleate della Turchia, i gialli sono i curdi siriani, i rossi sono il regime di Assad e alleati. La Turchia vorrebbe creare una “safe zone” nei territori oggi in giallo, a est del fiume Eufrate (Liveuamap)