Abitudini, vizi e consuetudini che divengono routine quotidiana e si trasformano in tradizione. Sono questi i protagonisti di “My good old habits“, la nuova mostra dei due street artist Joys e Peeta, a cura di Giuseppe Pizzuto, presentata da Wunderkammern nella sua sede milanese, dal 10 maggio al 10 giugno 2016, di cui FACE Magazine.it è media partner. Entrambi veneti, Peeta e Joys sono oggi alcuni dei maggiori esponenti di urban art in Italia e nel mondo.

 Nato e cresciuto in una cittadina della provincia di Venezia, Peeta, classe 1980, ha cominciato agli inizi degli anni ’90 nella scena italiana del writing studiando scultura e product design. Il suo stile prende spunto dalla scultura e dal design industriale e giunge ad una personale esecuzione della pittura 3D. I suoi lavori lo hanno spinto, negli anni, ben oltre i confini italiani e la sua arte, attraverso festival e mostre di risonanza internazionale, è ormai approdata in tutto il mondo. Peeta su facebook
Joys è nato a Padova nel 1974. La sua carriera artistica è iniziata negli anni novanta. La sua ricerca sul lettering si è poi arricchita di spessore e matericità approdando alla scultura e utilizzando materiali diversi ma mantenendo sempre uno stile unico. Joys ha partecipato a mostre in importanti istituzioni quali il Triennale Design Museum e il PAC Padiglione Arte Contemporanea di Milano (2010 e 2007) e la Fondazione Bevilacqua La Masa (Venezia, 2007). Nella sua arte nulla è lasciato al caso, le forme ubbidiscono sempre a precise regole logiche e geometriche. Joys su facebook

Joys, Marghera 2015.

L’intervista | Peeta & Joys

Cosa significa per voi creare arte e perché avete deciso di lavorare in strada?
Peeta: Ho deciso di lavorare in strada perché prima di iniziare a fare arte, facevo semplicemente graffiti: disegnavo lettere ma era qualcosa per me di totalmente staccato dall’arte. Fare graffiti significava dipingere per strada, non è stata una scelta, era la natura stessa di ciò che avevo deciso di fare. Oggi, creare arte, significa semplicemente esprimermi ed è un istinto che non è mai cambiato da quando ho iniziato con il writing. In quel momento ero semplicemente interessato a scrivere il mio nome e farlo girare il più possibile, era un modo istintivo per esprimere me stesso. Oggi, anche se la necessità di “marcare il territorio” non è più così pressante, il processo creativo parte dallo stesso istinto espressivo, quasi primordiale, che però si concentra su aspetti diversi dell’opera come la creazione di atmosfere, l’espressione di concetti e la ricerca dell’armonia.
Joys: Ho deciso di lavorare in strada in modo del tutto naturale, volevo documentare il mio passaggio. La parte che apprezzo di più è il fatto che si tratta di un processo molto naturale e istantaneo, non richiede troppe preparazioni. Fare arte è una grande soddisfazione, lasciare il tuo segno e la tua riconoscibilità in qualcosa di semi permanente. Lo faccio principalmente per me, mi fa stare bene.

Nonostante il boom che ha vissuto in questi anni il fenomeno della street art, credi ci siano ancora pregiudizi nei confronti di chi sceglie l’arte urbana? Incontri difficoltà o diffidenze nel tuo lavoro?
Peeta: I pregiudizi sono sempre di meno. L’opinione comune non è ancora di tutto schierata a favore dei graffiti e della street art ma ne sta capendo la portata positiva. All’interno del mondo istituzionale dell’arte credo ugualmente ci siano sempre meno pregiudizi a tutti i livelli. Inizialmente, sentivo in parte la mia categoria “declassata” all’interno dell’arte contemporanea, in questo momento è un differenza che non percepisco più in maniera evidente, anzi.
Joys: Sì ce ne sono ancora tanti, e ne incontro nel mio lavoro. E’ lo spray soprattutto a creare diffidenza, perché è visto come legato al vandalismo. Inoltre le persone hanno perso secondo me il rapporto con i muri, non è più naturale toccare e scriverci sopra. Dipende anche molto dalla concezione instaurata nella società: in Cina ad esempio ho dipinto sui muri di un villaggio, e le persone là non avevano alcun pregiudizio sulla pittura murale.

Peeta, Lido di Venezia.

A chi o a cosa ti ispiri per realizzare la tua arte? Ci sono artisti che stimi in maniera particolare e che ti hanno influenzato?
Peeta: Mi ispiro a tutto ciò che mi circonda, che osservo, studio e rielaboro. Parlando di riferimenti artistici sono stato ispirato principalmente dal mondo del writing, soprattutto dai pionieri del 3D centro-europeo: Delta, Daim, Seak, Loomit, Toast. E, ad oggi, da altri artisti contemporanei come Cinta Vidal e Ian McQue.
Joys: Sicuramente una delle mie principali ispirazioni sono le figure impossibili di Escher, per quanto riguarda i graffiti gli artisti Delta e Sento.

Cosa vedremo delle tue opere in questa mostra a Milano?
Peeta: Innanzitutto è la prima volta che collaboro con Joys per una mostra in cui non solo le nostre opere vengono affiancate ma in cui molti lavori sono creati in combinazione, mettendo assieme tecniche, materiale e immaginari estetici diversi. Per la mia evoluzione, inoltre, le opere di questa mostra rappresentano un momento di sperimentazione che ha dato vita a lavori ibridi ma accomunati dal tentativo di esplorare tanto nuove tecniche che nuovi soggetti (tra cui alcuni dettagli illustrativi). La grande novità è che per la prima volta tutte le opere saranno eseguite con pittura ad olio, allontanandomi dall’uso degli spray e della loro naturale evoluzione cioè l’aerografo. Strettamente connessa a nuove tecniche e materiali è la scelta di sperimentare effetti diversi legati all’uso della luce e dei colori. Ho cercato di creare opere più pulite ma che allo stesso tempo dessero vita ad atmosfere nuove e introducessero lo spettatore a scenari più complessi e descrittivi. Sono embrionali ma rappresentano la volontà di staccarmi dai miei tradizionali pezzi come oggetti astratti ed a sé stanti, di eliminare gli sfondi piatti e puramente decorativi e costruire un ambiente attorno al pezzo, in cui si muove e di cui si caratterizza.
Joys: Da una parte la continuazione del mio studio sui particolari e le forme, dall’altro il connubio e la fusione sia dei due nomi (Joys e Peeta) che delle nostre due tecniche. Abbiamo realizzato sei opere insieme per la mostra, oli e spray su tela e oli su tela insieme a spray su vetro. Le tecniche usate sono diverse e hanno anche tempistiche diverse, e anche per questo la realizzazione avviene a “passaggi”: uno di noi comincia sul progetto, l’altro ci lavora e poi l’opera torna alla prima persona per la finalizzazione.

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Joys e Peeta | My good old habits
Mercoledì 10 maggio, 18.30 – 21.30
Via Ausonio 1A, Milano
www.wunderkammern.net
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