Classe 1978, romana, Lady Maru è molto più che una dj. È nata con il post-punk e con la chitarra in mano. Musicista, producer e agitatrice culturale capitolina, è tra i nomi più affermati del circuito underground. Ha collezionato innumerevoli notti tra le consolle e i palchi d’Italia, ma anche d’Europa. È stata l’anima di progetti musicali come Trouble VS Glue, duo rock sperimentale pop-punk al fianco di Toni Cutrone, storica resident dj di Amigdala e co-organizzatrice di U Kabarett, ma anche una delle protagoniste di Linfa, il docufilm di Carlotta Cerquetti sulla scena artistica femminile di Roma Est.

Abbiamo incontrato Lady Maru in queste giornate di post-quarantena per conoscerla meglio ma anche per capire cosa ne sarà, dopo l’emergenza, della musica ma soprattutto del clubbing, il settore più colpito dalle misure anti Covid, ma anche il meno tutelato. Quello che, con ogni probabilità, ripartirà per ultimo.

Qual è stato il percorso che ti ha portato a decidere di fare la dj?
In realtà ho cominicato nei primi anni ’90 con la chitarra elettrica e volevo fare post punk, forse poco prima del 2000 mi sono appassionata anche di progetti ibridi tra musica elettronica e quella suonata. Ho cominciato a comprare vinili all’estero, ma i miei primi “dj set” erano selezioni senza beatmatch, quasi tutti al Metaverso, piccolo locale di culto in via di Monte Testaccio per la serata Phag Off di Warbear e Nikky. Per lo piu giravo in tour con la mia band di no wave post punk e anche con Ableton (programma per producers). Ho cominciato non prima del 2005 – 2006, senza trarne nulla di serio fino a circa 9 anni fa. Mi piaceva molto l’energia che si creava quando mettevo i dischi anche senza beatmatch, forse la stessa dei concerti pieni di gente presa bene, ed ho pensato, con molta lentezza, di prenderlo più seriamente e con altrettanta lentezza di farmi dare qualche lezione di produzione in più. Avendo sempre fatto musica “mia” o “nostra” tenevo più a raffinare le tecniche da producer piuttosto che da dj e, ancora oggi, non ho ricomprato i technics che ho venduto…

Quanto è difficile essere una dj “di professione” oggi in Italia?
Al giorno d’oggi direi quasi impossibile, ora al di là del Covid.. mancano locali, ci vengono imposti orari severi (neanche in Spagna si chiude alle 4), mancano etichette forti nostrane, mancano agenzie di booking che coltivano anche gli emergenti, e mancano fondi e aiuti statali. Credo ce ne siano pochissimi di djs full time che riescono davvero a cavarsela, intendo a viverci e farci le vacanze, senza restare uccisi dalla situazione che stiamo vivendo ora.

Lady Maru. (Foto: Gesus Teisseyre)

Credi ci sia ancora maschilismo nel clubbing? Insomma, è più difficile essere una donna dj?
Credo ci sia purtoppo ancora tanto maschilismo, soprattutto di radice storica, non racconto quello che ho passato all’inizio di quest’anno perchè è meglio lasciar perdere e andare avanti, ma davvero, soprattutto a Roma, siamo all’età della pietra. Le nuove regole sono anche mai parlare della scena italiana, romana ancor meno, meglio guardare a quella internazionale che è molto più aperta, incline al cambiamento e meritocratica anche per una o un 22enne, che non è il caso mio. Ed è meglio fare musica ed insistere all’infinito sul raggiungimento della qualità del suono. Il tema donne è anche abbastanza interessante, essendone uscite a bizzeffe negli ultimi due anni. Penso che lavorare seguendo il proprio gusto nelle produzioni sia l’unica via per andare avanti.

Sei romana e hai scelto di continuare a vivere a Roma, pur suonando spesso anche altrove. Come vedi oggi la scena clubbing della capitale?
Diciamo che son romana, ho vissuto per brevi periodi brevi a Berlino dal ’99 e ho sempre voluto tornarci, ma poi sono rimasta avendo la possibilità di vivere quasi solo con le serate (fino a pochi anni fa avevo ache delle band attive) e fin quando c’era Amigdala suonavo in serate davvero grandi con nomi internazionali e importanti, che aiutavano la carriera. Suonavo in giro per l’Italia con La Roboterie senza nulla da inviadiare all’estero, anzi… ricordo la serata con Perc, con Rebotini, o anche Amigdala all’Animal Social Club, nella famosa maratona delle 40 ore. Ricordo i grandi queer prides in Italia e le serate di Nostri Corpi Nostre le Città. Ma anche le serate piccole ma piene, un po’ il vero underground, che mi ricordano il Metaverso, come U Kabarett al Trenta Formiche che abbiamo organizzato per anni. Secondo me non è una scena piccola. Anzi, è grande e curata, ma viene semplicmenete ostacolata da un governo malmesso, che non vuole capire che la notte è un lavoro come gli altri e va tutelato.

Le foto che pubblichi sui tuoi social tra i cassonetti pieni di Roma sono ormai “un cult” della rete. È una forma di denuncia o solo un divertimento?
No, non è una forma di denuncia, piuttosto è una sorta di osservazione sulla città che faccio camminando. Alcune foto sono talmente apocalittiche da rappresentare quasi una ricerca antropologica.

Lo Stato pensi che tuteli come dovrebbe la cultura e la musica? La scena underground, in particolare, pensi sia abbandonata dalle istituzioni?
La scena underground è invisibile allo Stato, e appunto, mi fa paura come in una situazione così, questo esca fuori. La notte, appunto, è la prima abbandonata come se non servisse, se non avesse decoro, se non avesse dato da mangiare a tanti lavoratori per tutti questi anni ed è come se non avesse uno storico agli occhi del governo. Anche la scena dei concerti di bands non registrate alla Siae, di performer e visual artists che non hanno anche un’altra professione e guadagnavano per lo più in nero, tutti i non istituzionali, le associazioni culturali e i padroni di locali compresi, trattati come se tutti facessero musica o attività culturali solo per hobby. Tutto questo ha creato in me un profondo disgusto che mi fa sentire sempre più la necesità di tornare a vivere in Germania.

In Germania suoni spesso, è un Paese che conosci molto bene, considerato da molti la “mecca” del clubbing e dell’underground. Quali differenze noti maggiormente con l’Italia?
La Merkel considera artisti e dj, per esempio, dei liberi professionisti. Per lavorare è sufficiente essere muniti di un semplice codice fiscale, che purtoppo io ho dovuto chiudere due anni fa. Prima facevo avanti e indietro. Se avessi potuto pagare le tasse lo scorso anno, anche io avrei ottenuto i 5mila euro che il governo tedesco ha dato in queste settimane ai liberi professionisti. È assurdo. Tra l’altro ho anche aiutato piccoli e grandi locali ed imprese culturali a pagare l’affitto. Molti si lamentano anche in Germania, ma sono viziatissimi, non sanno cosa significhi vivere in Italia, mi dispiace dirlo. La Germania è quel Paese per il quale nutro amore e odio: se ne fai parte ti tutelano, altrimenti diciamo che non sono i più gentili… Ho avuto anche a che fare con artisti tedeschi e nordeuropei quando avevamo l’agenzia di concerti e diciamo che le pretese erano tante.. Meglio lavorare con gli americani o i canadesi, ma questo è un altro argomento. Questo per dire che crescono “viziati” e coccolati da uno Stato presente che ama i suoi artisti, infatti molti di loro considerano l’Italia come superprimitiva!

La musica e lo spettacolo sono i settori più colpiti dall’emergenza coronavirus perché sono quelli che ripartiranno per ultimi. Le misure del governo per voi artisti pensi siano sufficienti? Cosa chiederesti al governo Conte?
In questo momento, io personalmente sono sotto di 800 euro al mese. Devo pagare affitto e fare la spesa, sto facendo il dribbling perché, come tanti romani, risulto ancora, a 42 anni quasi, residente dai miei genitori, pur pagando regolarmente un mio affitto da 15 anni. L’Italia dovrebbe dare almeno 600 euro a tutti i disoccupati e aiutare chi ha un contratto d’affitto e non ha più reddito, invece fanno tarantelle per trovare il modo di non dar nulla. Essendo estrema la situazione, il reddito d’emergenza sarebbe il minimo in un paese civile. Poi si potrebbe discutere del perchè molti artisti siano costretti a lavorare in nero… le imposte sulla ritenuta d’acconto sono allucinanti, molti lavori che ci vengono proposti sono in nero. Inoltre, chi lavora di notte è invisibile e tende a restarci, nell’impossibilità a volte di avere una ragione sociale. L’Italia però è stato comunque un paese in cui si viveva da funamboli. Ora siamo caduti e al momento, mi dispiace dirlo, ma non vedo una soluzione.

Tu personalmente come stai vivendo questo tempo sospeso?
L’unica cosa che posso fare è produrre tanta musica, fare podcasts, affinare tecniche, fare jogging, ascoltare musica, chattare di più con producers e amici di altri Paesi e pensare forse a un domani.. ma quel domani ormai è almeno a fine anno, per un possibile dj set.

Quali progetti hai in cantiere per il post coronavirus?
Sicuramente una meta è spostare la ragione sociale a Berlino e, se tutto va male, o se tutto va cosi, dovrò comunque cercare un part time non musicale per un po’. Diciamo che la mia vita da funambola è un po’ fallita, o almeno sospesa, quindi temo che anche io debba ricorrere al piano b, che è appunto entrare in un sistema più istituzionale dove non è possibile fare subito la producer o dj o label owner. Spingerò comunque un po’ di più sulla mia etichetta di acid techno, da lì sarà più facile e spero di riuscire a continuare anche con un’altra produzione in vinile. Sono comunque aperta a qualsiasi lavoro artistico anche in Italia, purchè si sblocchi qualcosa! Non voglio neanche finire nel nero totale…potremmo effettivamente pure rinascere come è stato negli anni ’60, mi raccontava mia madre….mah vedremo!

 

Di Mauro Orrico
Salentino di origine, romano di adozione, è laureato in Scienze Politiche (La Sapienza) con Master in Tutela Internazionale dei Diritti Umani. Ha lavorato per Rai3 e La7d. Da 14 anni è anche organizzatore di eventi di musica elettronica e cultura indipendente. Nel 2014 ha fondato FACE Magazine.it di cui è direttore editoriale..