I Mashrou’Leila, il rivoluzionario gruppo rock simbolo della primavere arabe, diventato famoso per avere cantato la lotta alle discriminazioni contro gli omosessuali, le donne e i laici in Medio Oriente, continua il suo straordinario successo. In autunno hanno fatto il loro primo tour negli Stati Uniti e il 28 novembre hanno presentato il loro quarto album, “Ibn El Leil”, con un concerto dal Barbican Center di Londra trasmesso live in tutto il Medio Oriente. Hanno iniziato quasi per scherzo nel 2008 durante una jam session organizzata dall’Università Americana di Beirut e da allora riempiono le piazze del Libano, Egitto, Giordania, Tunisia , Dubai e Marocco e molti altri paesi. Cantano canzoni che coniugano un’eccellente qualità musicale con testi che raccontano di amori omosessuali, coppie di religione diversa, sbronze nei club libanesi. Il cantautore Hamed Sinno vive con grande tranquillità la sua omosessualità e ha sempre sostenuto che i testi rivoluzionari del gruppo siano nati perché tutti i componenti della band amano esprimere i loro pensieri e sentimenti fregandosene di quello che la società pensi. I Mashrou’Leila, da qualche tempo, hanno anche un ottimo seguito in Europa e sono la prima band araba a comparire sulla copertina di Rolling Stone, la bibbia della musica.

Pochi giorni fa, sul proprio profilo Facebook il gruppo ha annunciato che le autorità giordane hanno annullato un loro concerto nell’anfiteatro di Amman previsto per venerdì 29 aprile. “Non potremo più suonare in nessun luogo del Paese” hanno dichiarato. La motivazione ufficiale, raccontano, starebbe nello stile musicale della band “in contrasto con l’autenticità storica del luogo” ma secondo i Mashrou’Leila la ragione risiede proprio nelle idee che il gruppo porta da sempre avanti, dalla libertà sessuale al diritto al dissenso.

Questa doppia intervista, ad Hamed Sinno, il cantautore del gruppo e a Haig Papazian, il violinista, nasce da cinque incontri avvenuti negli ultimi due anni, tra l’Egitto, il Libano e l’Italia.

foto 1foto 2foto 3Mashrou’ Leila – Foto di Emanuele Luca 

L’INTERVISTA | di Luca Fortis
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Il mondo arabo sta quindi cambiando velocemente?
Hamed Sinno: C’è una battaglia nel mondo islamico, ma non tutto è bianco e nero, per esempio la mia famiglia, che è sunnita, è molto conservatrice e ha idee profondamente diverse dalle mie, ma accettano la mia omosessualità senza problemi.

Oggi c’è maggiore consapevolezza delle proprie libertà?
Hamed Sinno: Sicuramente sì, quando ho dichiarato che ero gay pensavo sarebbe successo un putiferio, invece non è accaduto nulla.

La vostra musica ha un raffinato equilibrio tra influenze occidentali e orientali.
Hamed Sinno: Scriviamo qualunque cosa sentiamo, in modo intuitivo e molto libero, non entriamo mai in una stanza di registrazione avendo in testa di scrivere una canzone pop o rock, con influenze mediorientali o americane. Tutto nasce in modo molto naturale. Oggi anche in Nord America non esiste più puro rock o pop puro, in tutto il mondo la musica non ha più confini così precisi.

Il vostro ultimo album è una riflessione sulla notte. Le persone, calato il sole, tolgono la maschera?
Hamed Sinno: In Libano la gente non esce per semplice svago, non va in giro per club a bere solamente per divertirsi, ma per esorcizzare i propri fantasmi, le tensioni che una società dura e, a volte aggressiva, crea. Il modo in cui si va fuori qui è diverso che a Parigi. Beirut è famosa per la vita notturna, la gente, e spesso anch’io, esce per scaricare la tensione e beve alcol per tante questioni diverse. Alcuni arrivano al punto di esagerare e distruggersi. Ho sempre trovato questo mondo notturno, in cui la gente mette giù la maschera e tenta di esorcizzare le proprie paure, molto interessante.
Haig Papazian: Ci interessava capire cosa vuol dire uscire a Beirut. Il cliché che rappresenta Beirut come una delle capitali della ‘club culture’ è spesso un modo semplicistico per descrivere una situazione molto più complessa. La notte non è solamente il momento per andare in un club, ma è anche quello che avviene prima e dopo. A volte è un sentimento che dura un intero weekend. L’album tenta di trasmettere quest’atmosfera. Ci sono canzoni in cui si balla e canzoni con atmosfere molto più rarefatte.

Di notte si esplora se stessi o si tenta di non pensare e dimenticare?
Hamed Sinno: Questo è uno dei punti centrali dell’album. Di giorno si è costretti a stare dietro a mille impegni e non si riesce davvero a pensare. Di notte si sta da soli con i propri pensieri e questo può spaventare. Anche quando si socializza lo si fa come persona e non come individuo immerso nella formalità della quotidianità. Certe volte si esagera con l’alcol anche per non essere soli con i propri pensieri. In Libano però la notte diventa politica, ogni gesto come bere alcolici, chiedere un numero di telefono a una ragazza, due uomini gay che si baciano, tutto viene fatto sfidando regole e convenzioni che castrano i giovani. Se la gente fuori si spara, se la polizia fa un raid in un gay bar e arresta solamente i siriani questa è politica. Noi non abbiamo un governo e viviamo l’arena pubblica in questo modo. A volte discussioni politiche in un bar portano a sparatorie. Tutto avviene all’aperto, come al tempo dell’antica Roma.

La vostra musica ha testi politici o parla della vostra intimità ?
Hamed Sinno: La musica qui è inevitabilmente politica, se due ragazzi si innamorano, in Libano è fare politica. Se stai da solo e pensi, qui è comunque politica perché qualunque pensiero farà i conti con il mondo in cui ti hanno cresciuto. La musica è personale e politica allo stesso tempo. Anche il tipo di musica che ascolti può essere un messaggio pubblico.

In questo album parlate anche di identità multiple.
Hamed Sinno: Tutti abbiamo identità multiple e questo a volte significa anche contraddirsi. Nel brano “3 minutes”citiamo un verso di Song of Myself di Walt Whitman, il verso dice «Do I contradict myself? Very well then I contradict myself, (I am large, I contain multitudes)». Abbiamo tradotto questa frase in arabo, per far capire che dopo aver fatto musica per otto anni, era normale che potessimo cambiare, crescere, contraddirci, o giocare un po’ con noi stessi.

In Italia avete fatto il primo concerto a Firenze nel 2014 e avete riscosso un tale successo che siete già tornati tantissime volte.
Hamed Sinno: In Italia abbiamo avuto un successo davvero inaspettato, abbiamo già fatto sei concerti in città come Firenze, Milano, Venezia, Parma, Torino, Napoli, Cividale del Friuli. Non so perché proprio in Italia abbiamo avuto tutto questo seguito. Il bello è che il pubblico è a maggioranza italiana, non sono arabi che vivono in Europa. Lo stesso vale in Francia e in Inghilterra. Mi chiedo sempre come mai un pubblico che non capisce l’arabo ami la nostra musica.
Haig Papazian: L’ultimo concerto in Italia, a Cividale del Friuli è stato davvero particolare. Eravamo a pochi chilometri dalla Slovenia, in una zona che non conoscevo per niente. Moltissime persone, che ci vedevano per la prima volta, dopo un po’ si sono alzate dalla sedia e si sono messe a ballare sotto il palco. È stato emozionante creare un tale feeling con un pubblico completamente nuovo.

La musica può cambiare le opinioni della gente?
Hamed Sinno: La gente non ascolta se gli si dice vota per questa persona o per quella. Ma se fai capire alle persone che devono porsi domande, avere dubbi, allora la società può davvero cambiare. Questo la musica lo può fare.
Haig Papazian: Non si può dire alla gente cosa fare, al massimo la si può guidare con il proprio esempio.

Info:
www.mashrou3leila.com
www.facebook.com/mashrou3leila/timeline .


Di Luca Fortis
Giornalista professionista, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano. Un pizzico di sangue iraniano e una grande passione per l’Africa e il Medioriente. Specializzato in reportage dal Medio Oriente e dal Mediterraneo, dal 2017 vive a Napoli dove si occupa di cultura e quartieri popolari e periferici.