“Per Falcone la mafia non era invincibile”. Sergio Mattarella ricorda il giudice ucciso dalla mafia il 23 maggio 1992 con la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della Polizia di Stato Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. “Diceva che la mafia non è affatto invincibile e che occorre, piuttosto, rendersi conto che si tratta di un fenomeno terribilmente serio e molto grave. La mafia si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando tutte le forze migliori della società. Come interprete, e capofila, di queste energie migliori, ha svolto, con coraggio e determinazione, la sua opera. Perché una società vada bene, basta che ognuno faccia il suo dovere”, ha concluso il Presidente della Repubblica.

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite renderà omaggio a Giovanni Falcone il prossimo 19 giugno. In occasione del venticinquesimo anniversario, saranno desecretati e pubblicati ufficialmente, in cartaceo e sul sito del Csm, gli atti che erano rimasti custoditi negli archivi relativi ai fascicoli personali di Falcone e Francesca Morvillo.

Come morì il giudice Falcone
Era un caldo sabato di maggio. Il giudice Giovanni Falcone collaborava con l’ex ministro Claudio Martelli. Passava a Roma la gran parte della settimana, nel week end, raggiungeva con sua moglie Francesca la sua città. Giovanni Falcone era, ed è ancora, un simbolo della lotta alla mafia. Negli anni ‘80 ha fatto parte di un pool con Antonio Caponnetto e Paolo Borsellino. Insieme istituirono il maxiprocesso cominciato a Palermo nel 1986 e finito nel gennaio del 1992. L’esito del processo in primo grado fu di 400 imputati, 19 ergastoli e quasi 2.700 anni di reclusione in totale. Pene per la maggior parte confermate in Cassazione. Giovanni Falcone è sempre stato isolato, lo volevano morto gli uomini della mafia e negli anni, sono emerse le ombre dei sospetti e delle critiche degli uomini dello Stato. La strage di Capaci fu così un’azione simbolica per dimostrare la supremazia della mafia sullo Stato. Alle 17,58 del 23 maggio 1992 un boato ruppe il silenzio di quel sabato palermitano. Ad azionare il telecomando dalla collinetta fu Giovanni Brusca. Cinquantacinque giorni dopo, nella strage di via D’Amelio morirono anche il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta.