Sono cominciate contro una norma che avrebbe permesso alla Cina di ottenere l’estradizione degli imputati di alcuni reati gravi come omicidio e stupro. Poi, le manifestazioni sono continuate anche dopo l’annuncio del governo di sospendere il contestato emendamento. Si chiedono le dimissioni di Carrie Lam, leader di Hong Kong e considerata molto vicina al governo cinese: molti la accusano di non aver chiesto scusa per le violenze della polizia, che durante le proteste hanno portato al ferimento di 81 persone, e per l’arresto di 11 manifestanti.

Secondo gli oppositori, l’emendamento avrebbe esposto di più Hong Kong all’illiberale sistema giudiziario cinese, che utilizza spesso pretestuosamente accuse come queste per minacciare i dissidenti, con la conseguenza di ridurre l’autonomia della città-isola che fino al 1997 era controllata dal Regno Unito.
Non ci sono ancora stime ufficiali ma gli organizzatori parlano di due milioni di persone scese in piazza solo nelle ultime settimane. Anche a Taiwan e nella capitale Taipei, alcuni studenti hanno manifestato a sostegno di Hong Kong e contro l’ingerenza cinese.

Pochi giorni fa, intanto, dopo un mese di prigione è stato scarcerato l’attivista Joshua Wong, che nel 2014 guidò le grandi proteste di Hong Kong diventate famose come “movimento degli ombrelli”. Wong, che era in carcere per una condanna per oltraggio alla corte relativa a una precedente protesta, si è unito alle grandi proteste in corso nella sua città.
A Hong Kong, per ora, hanno vinto i manifestanti, ma la protresta non si ferma.