I The Pills sono nati con un fenomeno del web ma dopo il successo ottenuto hanno trovato spazio anche in televisione. Ora sono al salto definitivo e il 21 gennaio esce il loro primo film “Sempre meglio che lavorare” in 350 sale, un grande numero per un debutto. Il film racconta di Luigi, Matteo e Luca amici da sempre che tirano a campare fumando sigarette, bevendo caffè e soprattutto sparando idiozie, seduti intorno ad un tavolo nella periferia di Roma sud. Stanno ancora calcolando la stima in termini di litri di caffè, ganja e ‘birette’ che la produzione ha dovuto mettere a disposizione. Sono i paladini di una battaglia ideologica: immobilismo post adolescenziale costi quel che costi. Non venitegli a parlare di stage, colloqui di lavoro e altri escamotage per emanciparsi. Perché hanno dimostrato che inseguire le proprie velleità artistiche è “sempre meglio che lavorare”. La ricetta vincente è il loro talento ma anche il loro cinismo verso il mondo degli adulti.
Noi li abbiamo incontrati in occasione della conferenza stampa di presentazione del film.

La trama del film si ispira alla loro vera storia come racconta Luigi di Capua:
“Quando abbiamo deciso di fare il film volevamo fare una cosa più onesta possibile. Volevamo portare sullo schermo qualcosa che è in parte autobiografico ed è stato il nostro approccio al mondo del lavoro ed è poi quando è cominciato The pills, era il 2010-2011, tutti e tre laureati e non riuscivamo a trovare lavoro e quindi abbiamo pensato ‘vabbè piuttosto che stare in ufficio 8 ore al giorno e guadagnare 300 euro proviamo a fare qualcosa a casa’ e da qui il nome “Sempre meglio che lavorare” che per noi è una spinta nel dire proviamo a fare le cose che ci divertono, anche una valvola di sfogo ma tiriamo fuori qualcosa, Luca voleva fare il regista, io volevo fare lo sceneggiatore, Matteo voleva fare il rapper e abbiamo detto facciamo questa cosa. Poi quando è cominciato tutto è stato un anno di miseria e in quel momento c’era l’idea di rimanere comunque compatti. Andare a lavorare avrebbe significato smettere di fare The Pills, in modo retorico smettere di credere in quello che vorresti fare e interrompere quello che avevamo cominciato insieme. C’era questa sorta di immobilismo, guai se qualcuno va a lavorare che si rompe tutto questo incantesimo, diciamo. E quindi abbiamo voluto riportare questo sentimento sincero e vissuto nel film. Ed è stato il punto di partenza. Poi il film racconta il sentimento di raggiungere i 30 anni e raggiungere il momento di post adolescenza che fino a quel momento abbiamo prolungato il più possibile. Sono come delle declinazioni del sentimento, il leggero decadimento fisico, quello psicologico, la tentazione del lavoro.”

“Una vita che comincia alle 7 di mattina non vale la pena di essere vissuta”: questa una delle tante battute del film. Per fare il film, paradossalmente per la prima volta hanno dovuto realmente lavorare. Insomma fare un film non è una passeggiata e tutti si chiedono come l’abbiano presa.
Matteo Corradini afferma: “Purtroppo noi abbiamo lavorato, è stato tanto tempo fa. Nel 2008 dopo la laurea, eravamo in piena crisi, quindi la situazione era stare in ufficio per pochi euro. E allora noi abbiamo detto ‘ne vale la pena? C’è dell’etica? Forse no e siamo andati avanti. Io nel film dico vado a pranzo dai miei, io non lavoro mangio da loro, fra l’altro mio padre nel film è davvero mio padre. Non nascondiamo gli sforzi che i nostri genitori hanno fatto in quel periodo, gli siamo molto riconoscenti. Lavorare è stato traumatico, Luca ha ancora la febbre, sono 4 mesi che ha la febbre. Ci hanno costretto a fare un film pur di farci lavorare, forse.”

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Ma tante speranze, paure e difficoltà hanno accompagnato questa nuova esperienza.
Luigi dice: “Abbiamo tentato di riportare il linguaggio di internet al cinema cercando di fare un prodotto cinematografico con un linguaggio che mischia i due, una cosa curiosa. E’ stato un dramma, un parto, abbiamo smesso di essere amici”.

Il film è girato completamente tra Pigneto, Mandrione, Prenestina e Luca Vecchi, anche regista del film scherza: “Considera che per me quello è il centro. La gente dice ‘come il centro?’, il Pigneto è dietro Stazione Termini. Io sto fuori dal raccordo e quello è il Far west”.

Il cinema italiano ci ha abituato a vedere storie di precari tra Piazza Navona e Piazza di Spagna. Luigi aggiunge: “Il punto di partenza spesso è parlare una romanità (che ad alcuni può sembrare apparentemente un limite), è portare una tribalità al cinema fatta del modo di parlare, del nostro modo di comportarci. Il modo di parlare nel cinema è stato sempre approssimativo, non c’erano dei locali, dei riferimenti. Anche Nanni Moretti raccontava la sua periferia. Spesso vedi questi studenti, questi giovani che sono bellissimi e vivono in dei loft nel cinema. ‘Il cinema italiano dei loft’ ma chi ce l’ha? Ma chi l’ha mai visto un loft? Tutto questo cinema che racconta tutti questi “Immaturi”.

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Le musiche della colonna sonora sono state composte da Federico Bisozzi, giovane compositore e sound designer romano.  Ma poi ci sono I Cani, Calcutta, The giornalisti, insomma anche la scelta musicale racconta un po’ la loro storia reale, i riferimenti della loro generazione, personaggi del mondo della musica che loro stimano. Poi ci sono le citazioni cinematografiche che sono tante.
“Citiamo Clerks già da un po’ di tempo” incalza Luca “nel linguaggio sporco e documentaristico, nei lunghi silenzi e nel bianco e nero ovviamente.”

E per le altre citazioni o ispirazioni ognuno ha messo del suo: Luca si burla di Matteo affermando che “è l’unica persona al mondo a cui fa ridere David Lynch.”
Matteo cita: “Monty Python, Terry Pratchett che ha scritto una serie di libri fantastici ed è scomparso da poco”.
Mentre Luigi: “Nel tempo ho riscoperto la commedia italiana. Prima ero molto più esterofilo come gran parte della nostra generazione, andavo a pescare in America la stand-up comedy: Larry David, Louis C.K., Jerry Seinfeld. In Italia: Germi, Verdone, Muti quel cinema comico molto, molto malinconico. Noi abbiamo cercato di fare un film che non fosse solo ridere, ridere, ridere, ma un film anche con delle tinte malinconiche.”

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Hollywood insomma incontra il Pigneto…
Luca: “Diciamo intanto che noi siamo figli degli anni ’80, ‘90 e in un certo senso ci hanno cresciuti un po’ con il televisore perché ci abbandonavano lì davanti e la tv era la babysitter come se il televisore potesse pulirti il culo, darti da mangiare e tutto il resto. ‘Lo lasci là sopravvive e va’. Quindi abbiamo fruito un po’ di tutto dalla commedia americana a quella italiana, film di Hollywood anni ‘80 ,’90, i videoclip di Mtv, siamo stati piuttosto onnivori, quindi è stata tutta roba che ci è rimasta dentro. Tra di noi abbiamo anche delle comicità diverse, chi è più attaccato alla stand-up comedy chi è più ai Fratelli Marx. E poi cartoni animati della Warner, cinema italiano.”

Ma “Sempre meglio che lavorare” vuole far riflettere soprattutto sull’importanza della cicorietta. Capirete dopo aver visto il film.
“Già la cicorietta attuale è stata già una grande sorpresa, perché quando a un certo punto te piace, ce rimani male.” incalza Matteo.

Ma qual è la cicorietta della nostra generazione? Probabilmente la velleità artistica? La voglia di comunicare? Qual è la cicorietta della generazione precedente?
“L’idea del paradosso della cicorietta, la più grande domanda , il più grande mistero, se noi l’avessimo trovata staremmo sicuramente meglio. Forse è fare quello che abbiamo fatto in un certo qual modo, per noi è stato questo, planare verso i 30 in un modo più tranquillo, forse fatturare è la nuova cicorietta. E la cicorietta delle altre generazione sono stati i figli”, conclude Luigi.

Credits foto: per gentile concessione fosforopress.com

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