Viviamo in una società di specchi, in cui ognuno rinforza la propria singolarità, e dove ogni alterità viene a mancare. Viviamo nell’indifferenza generale, quella dell’odio irrazionale, in una totale passione negativa verso la chiusura per l’Altro. L’immigrato è l’Altro, colui che decidiamo di respingere solo per il colore della pelle, perché alla fine è di questo che si tratta: respingiamo colui che non ci somiglia, quasi per tutelare il nostro monopolio del mondo. Igiaba Scego parla di una società inquinata dal razzismo delle parole, e con i suoi libri ci vuole suggerire quasi un modo per interagire con il razzismo e trovarne una soluzione. Nei suoi testi ci si può delicatamente rispecchiare e ritrovare finalmente il riflesso dell’Altro. La sua è una scrittura rivelatrice, che racconta anche la storia di un termine autolimitante e denigrante per tutta la storia dell’uomo. Adua è il suo ultimo romanzo, edito da Giunti Editore. Tra un racconto e l’altro noi l’abbiamo intervistata, affidandoci al potere delle sue parole.

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Chi è Adua, la protagonista del tuo romanzo?
Adua è una donna con dei sogni. Lei vuole fare il cinematografo, vuole essere una Norman Jean africana, ma i suoi sogni si scontrano con una società ostile che la trasformerà in stereotipo. Attraverso Adua (ma anche gli altri personaggi, soprattutto il padre Zoppe) ho voluto dare carne a quelle cifre che il telegiornale ci sciorina quando si parla di immigrazione. Ho legato varie fase storiche: colonialismo, anni ’70 e la contemporaneità fatta dei viaggi allucinanti che devono compiere i migranti a causa di regole europee sempre più miopi. Gli stereotipi di ieri agiscono ancora oggi.

Credi che oggi si possa ancora parlare di diaspora dei popoli e quindi di un’immigrazione forzata o sono altri i motivi di questa migrazione di massa?
Io preferisco sempre parlare di viaggio. Lo dico sempre (e l’ho scritto) i miei genitori hanno vissuto un momento della storia in cui anche gli africani avevano diritto al viaggio. Oggi loro sono cittadini italiani, ma quando sono arrivati in Italia (e non era la prima volta che ci venivano) hanno preso un aereo. Tutte le persone del sud del mondo che conoscevo prendevano gli aerei. E lo prendevi con un sistema di visti e con il tuo passaporto somalo, non prendendo un barcone. Oggi per una grande fetta di umanità il viaggio non è più possibile. C’è un apartheid di viaggio. È impedita la libera circolazione. Penso solo al nostro Mar Mediterraneo dove il viaggio è sempre stato circolare. Penso solo ai tanti algerini, marocchini, tunisini che venivano in Europa a lavorare e poi tornavano a casa propria. O penso per fare un esempio alto agli studenti che hanno dialogato con Pasolini in per una Orestiade africana, studenti africani che stavano a Roma per motivi di studio. Non hanno certo preso un barcone, ma un aereo. Ecco ora abbiamo appaltato tutto alle mafie. Sono loro che gestiscono i viaggi. Questo è gravissimo. Il diritto è sempre più eroso. Certo i fronti di guerra sono aumentati, per alcuni paesi la fuga è l’unico motivo di viaggio. Il diritto d’asilo è qualcosa di preciso, codificato. L’accoglienza è un dovere. Ma io allargherei lo spettro. Noi parliamo solo di migrazione, cancellando di fatto gli altri motivi di un viaggio: si può partire per cercare un lavoro, un amore, per specializzarsi. Inoltre in Italia si parla sempre poco delle cause di espulsione dai paesi di origine di molti migranti. Alcuni fuggono da guerre e dittature. Ma altri fuggono da una disperazione quotidiana che è molto simile alla guerra. L’Africa è molto sfruttata per le sue risorse dall’Occidenre, dalla Cina, dai paesi arabi del golfo. Se a un contadino viene sequestrata la terra, dovr può coltivare quello che gli serve per vivere? Se distruggiamo l’habitat naturale, con le mpnoculture per esempio, e desertifichiamo il suolo quella terra diventerà arida e la gente scapperà. Dovremmo spingere i nostri governi qui in Europa a mettere in campo politiche non predatorie. È difficile, lo so. Ma è quello che dovremmo fare.

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Come definiresti il rapporto dell’Italia con il fenomeno del razzismo?
Purtroppo non si affronta. L’Italia non ha mai studiato a fondo il suo razzismo e le sue pratiche discriminatorie. Io nei miei libri cerco di esaminare questo aspetto. E infatti lo dico spesso che le politiche di inferiorizzazione dell’altro sono cominciate all’indomani dell’unità d’Italia con il Sud Italia. Prima di colonizzare l’Africa e inferiorizzarla, stereotiparla, si è fatto tutto ciò con il sud. Una città come Napoli che era una megalopoli e con una vita culturale molto viva, veniva sempre rappresentata come povera, lacera e folcloristica. Non veniva presentata mai come città moderna, ma come città esotica, premoderna, succube. Il tutto poi è passato all’Africa. Quindi sarebbe iportante per l’Italia riandare alle radici del razzismo per estirparlo per bene. Se non si affronta la questione meridionale allora non si affronterà mai nemmeno il dilemma del razzismo italiano. Purtroppo però vedo che la percezione storica, e in Adua questo si percepisce, del razzismo è minimizzata. Frasi come ma in fondo non eravamo come i tedeschi, ma in fondo “italiani brava gente” sono un ostacolo grandissimo ad una seria e reale presa di posizione sul problema. È ora di riprendere tutti gli scheletri nell’armadio e fare in modo di mettrli in fila, guardarli in faccia, essere consapevoli della propria storia. Solo allora potremmo costruire una società che conosce se stessa e conoscendosi evita gli errori del passato.

Credi che la politica italiana sia sostenitrice di un nazionalismo patriottico chiuso verso la questione immigrazione? Pensi che la politica spinta da Salvini implichi un odio generale verso i migranti?
Io, lo so sembra un paradosso, non sono preoccupata dei seminatori di odio di professione. Loro sono anche abbastanza scaltri da poter usare a loro favore un momento storico tra i più confusi e tragici degli ultimi anni. L’odio è una merce facile, quasi appagante da vendere. È un po’ come le tesi complottiste. Ti rasserenano, dando la colpa agli altri, in questo caso agli stranieri, ci si lava le mani da ogni responsabilità. Quello che mi preoccupa non è chi semina odio, ma chi dà spazio (un grande spazio) ai seminatori di odio. Per me in Italia, come altrove, il problema è mediatico. Sono i media a costruire i personaggi, a bombardarci quotidianiamente di odio. Se odiamo, non pensiamo. E invece se viviamo tragedie quotidiane, perdita di lavoro, il potere di acquisto che si assottiglia sempre di più, il precariato, ecc dovremmo pensare. Dovremmo fare qualcosa per cambiare lo stato attuale delle cose. Ma odiando ci si sente a posto con la coscienza. È un contentino odiare. E così non si pensano ai veri problemi del paese. In Italia per esempio l’immigrazione non è un problema. Anzi potrebbe essere una risorsa in un paese dove si fanno sempre meno figli e dove il livello energetico (di ottimismo) si abbassa sempre di più. Penso solo all’imprenditoria migrante, che sta diventando una voce importante nel panorama economico. I problemi sono legati alla crescita delle diseguaglianze. Ma appunto è più facile odiare, gridare, urlare. Non pensare. Quindi mi preoccupano i seminatori di odio nella misura in cui inquinano la società di stereotipi e falsità. Ma non sono loro il problema. Oggi c’è tizio, domani caio. Sono solo personaggi. Quello che mi preoccupa è questa volontà dei media di addormentare le coscienze. L’Italia non si può permettere di essere addormentata. Siamo al centro del Mediterraneo e anche se spesso non ce ne rendiamo conto al centro di cambiamenti geopolitici importanti. Avremmo bisogno di un sistema mediatico che ci spieghi il mondo, che ci faccia capire chi siamo, chi diventeremo e cosa succederà.

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Si può parlare oggi di razzismo 2.0? Credi che i social siano complici di tutto questo odio verso l’Altro o semplicemente si limitano a rispecchiare le opinioni di tutti?
Razzismo 2.0 che espressione singolare! Ma credo sia azzeccata. Però c’è da dire che spesso l’odio che circola nei social network non lo vedo per le strade. Nonostante questo clima di paura dell’altro gli italiani (e gli europei) hanno conservato la loro umanità. Penso a tutte le persone che hanno offerto le loro case, del cibo o solo un abbraccio ai rifugiati siriani. Questo è successo a Monaco, ma anche a Milano. L’umanità ci sorprende sempre.

Che cosa è davvero il razzismo? Come può essere raccontato e sconfitto ?
Bella domanda a cui non so rispondere. È tutto e niente. Lo hanno spiegato meglio di me Fanon, Wierorka, Mosse, Said. Lo ha spiegato Primo Levi. Lo ha spiegato Toni Morrison. Io non so come può essere sconfitto. Ma so solo che attraverso le storie (quindi dalla letteratura al teatro) possiamo risolvere se non tutto, molto. Leggere Beloved di Toni Morrison per esempio cambia la prospettiva. E ce ne sono un mucchio di opere così. Basta cercarle. Sarebbe importante che insieme ai classici europei nelle scuole si leggesse anche l’Africa, L’America Latina, l’Asia. Dobbiamo ampliare i nostri orrizzonti per sconfiggere paure e discriminazioni.

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