Carri armati per le strade di Istanbul, social network inaccessibili, spari sui civili e nel Parlamento di Ankara. Dalle 22 di venerdì fino all’alba, la Turchia ha vissuto ore di caos e paura. Il tentativo di colpo di stato da parte dei militari è fallito nella notte. Il presidente Erdogan, dopo una rocambolesca fuga sui cieli turchi, è ritornato ad Istanbul dopo aver avuto la certezza del fallimento del golpe. Attraverso Facetime in diretta Tv, il presidente ha invitato la gente a scendere in piazza e in molti hanno accolto il suo invito. L’appello di Erdogan, l’appoggio del governo tedesco e di quello americano al presidente turco, insieme al rifiuto dei militari di sparare sui civili, hanno determinato la sconfitta. I militari hanno chiuso i ponti sul Bosforo e per ore si è temuto l’inizio di una guerra civile: la polizia si è opposta al golpe, e tra agenti e militari ci sono stati sanguinosi combattimenti. L’esercito ha motivato il tentativo di golpe con la necessità di difendere la laicità, la democrazia e i diritti civili, fortemente indeboliti dal leader islamista Erdogan.

La risposta del presidente è stata ed è tuttora durissima: purghe, arresti, repressione totale del dissenso. Mentre Erdogan dichiara di non escludere la reintroduzione della pena di morte se “il Parlalmento lo vorrà”, il premier Binali Yildirim ha aggiornato ieri i numeri dell’epurazione: “Sono 7.543 le persone arrestate, tra cui 100 agenti di polizia, 6.038 soldati, 755 tra giudici (due della Corte Costituzionale, ndr) e procuratori, e 650 civili. Per 316 è stata confermata la custodia preventiva”. Ma è un bilancio già superato da quanto accaduto nelle ultime ore: gli arresti sono saliti a 10mila, 15mila docenti e 492 imam sono stati sospesi. Revocate anche le licenze a 21mila docenti e 20 emittenti radio e tv accusate di aver sostenuto i golpisti. Quanto al bilancio delle vittime del fallito golpe, sono morte 208 persone, di cui 145 civili, 60 poliziotti e 3 soldati. Oltre 100 golpisti sono stati uccisi.

soldati(Le “purghe” di Erdogan contro l’esercito. Foto pubblicata dalla Cnn sui social network)

La comunità internazionale reagisce con sdegno al pugno di ferro del presidente. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini afferma: “Turchia è partner, ma in futuro potrebbe servire riflessione strategica” sui rapporti dell’Unione Europea con Ankara. Dall’Ue il monito è chiaro: “Così non entra in Europa“. Il ministro degli Esteri italiano Gentiloni condanna le vendette e il Segretario di Stato americano John Kerry invita a “Rispettare lo stato di diritto”. E intanto ieri è stato assassinato il vicesindaco del distretto di Sisli a Istanbul, per motivi apparentemente indipendenti dal tentato golpe.

Alcuni video amatoriali del tentato golpe, pubblicati su Youtube


UN SECOLO DI GOLPE IN TURCHIA
I colpi di stato non sono una novità in Turchia. Dal 1923, più volte l’esercito è intervenuto nella politica nazionale per difendere i “sacri” principi costituzionali, democrazia e laicità in primis, dettati dal fondatore della patria Kemal Ataturk. L’esercito si è sempre fatto garante dei diritti sanciti dal testo costituzionale. Ma era dal 1996 che non interveniva, quando cioè ha intimato all’ex presidente Erbakan, da sempre ispiratore di partiti islamici, di andarsene. Fino ad oggi.

UN GOLPE “FASULLO”?
Erdogan ha accusato il suo oppositore Gulen di essere la mente del tentato colpo di Stato. Un’accusa che ha fatto salire la tensione con gli Stati Uniti a cui Ankara ha chiesto l’estradizione del predicatore in esilio. Nelle ultime ore emergono però anche i dubbi – ipotizzati dallo stesso Gulen in un’intervista al Washington Post – che il golpe possa essere stato orchestrato dagli stessi uomini di Erdogan per accentrare ulteriormente i poteri nelle mani del presidente e ridurre gli spazi di libertà e democrazia, già ridotti ai minimi termini, nel Paese. La minaccia di reintrodurre la pena di morte, in Turchia vietata dal 2004, e la massiccia epurazione tra militari, giudici e dissidenti, delineano un quadro più che mai grave. Così come l’arresto del generale della base di Incirlik da cui partono le missioni anti-Isis.

IL RITORNO DEL SULTANO ERDOGAN, UN LEADER ISLAMISTA OGGI PIU’ FORTE MA SOLO CONTRO TUTTI
Recep Tayyip Erdogan ha lanciato l’appello al suo popolo a scendere in piazza, attraverso un social media, eppure è stato proprio lui a limitare e censurare i social network nei suoi anni al potere. Le moschee hanno rilanciato l’invito del presidente, un leader islamista che ha bloccato qualunque tentativo del paese di progredire sul piano delle riforme e della laicità. In queste ore ha lasciato una impressionante scia di sangue con gli oltre 104 golpisti uccisi e la minaccia di introdurre la pena di morte per i responsabili del colpo di Stato. Il ritorno al potere, l’enorme consenso di cui gode nel paese, l’uso spregiudicato dei media e la durissima repressione rendono oggi Erdogan più forte all’interno dei confini turchi, ma sempre più solo nello scacchiere internazionale. Gli resta l’appoggio massiccio delle campagne, delle periferie e degli anziani, sua base elettorale. Ma ha contro di sé i media, a cui ha imposto rigidissimi controlli, la piccola borghesia impoverita, l’esercito, l’opposizione politica e soprattutto le nuove generazioni che sognano l’Europa e l’Occidente. Sul piano internazionale, il suo unico fedele alleato è il Qatar. Sono stati pessimi fino a pochi mesi fa i rapporti con la Russia, sfidata in Siria. I ricatti sui rifugiati hanno disgustato l’Europa e il suo atteggiamento ambiguo nei confronti dell’Isis preoccupa Stati Uniti e potenze occidentali. E continua, senza fine, la guerra contro la minoranza curda, impegnata in prima linea nella lotta contro l’Isis ma bombardata e repressa da anni dal governo turco. Erdogan è stato rieletto con oltre il 50% dei consensi e quel sostegno in patria non pare essersi indebolito. Ma la strada della piena democrazia in Turchia è ancora molto lunga e oggi, più che mai, in pericolo.