Il nuovo governo del Sudan ha finalmente messo al bando la pratica delle mutilazioni genitali femminili, una mossa salutata come una grande vittoria da parte delle attiviste per i diritti delle donne. L’Onu stima che l’88% delle donne sudanesi tra i 15 e i 49 anni sono state sottoposte alla forma più invasiva della pratica, che comporta la rimozione dei genitali femminili esterni.
Il divieto è stato inserito la scorsa settimana in un emendamento al codice penale dal governo provvisorio del paese, in carica dallo scorso anno dopo la destituzione del dittatore Omar Hassan al-Bashir che era al potere da trent’anni.
Con la nuova legge chi effettua mutilazioni genitali femminili rischia una pena pari a tre anni di carcere e una multa. Tuttavia ci sono molti dubbi che una sola legge sia sufficiente a porre fine a una pratica molto diffusa e radicata. La mutilazione dei genitali femminili ha infatti forti valenze culturali e religiose: tagliare i genitali esterni di una ragazza garantisce l’onore della famiglia e le prospettive nel matrimonio. Ma la mutilazione può causare infezioni e, nei casi peggiori, infertilità o complicazioni durante il parto e perfino la morte, oltre a ridurre notevolmente il piacere sessuale.

L’uso della pratica in Sudan era stata una delle ragioni per cui i ricercatori della Thomas Reuters Foundation avevano classificato il Paese come uno dei peggiori paesi per i diritti delle donne. Per Salma Ismail, portavoce sudanese dell’UNICEF, si tratta di una decisione importante nella storia del Paese: «La legge aiuterà a proteggere le ragazze da questa pratica barbara, consentirà loro di vivere con dignità e aiuterà le madri che non vogliono mutilare le loro ragazze a dire “no”», ha spiegato.

Le mutilazioni genitali sono praticate in almeno 27 paesi africani e in parti dell’Asia e del Medio Oriente. Oltre al Sudan e all’Egitto, sono molto diffuse in Etiopia, Kenya, Burkina Faso, Nigeria, Gibuti e Senegal. Nonostante alcuni Paesi le vietino espressamente, la pratica continua ad essere molto diffusa. In Egitto, ad esempio, è stata vietata nel 2008 e la legge è stata modificata nel 2016 per criminalizzare medici e genitori che la facilitano. Eppure i procedimenti giudiziari sono rari e le operazioni continuano di nascosto. Secondo le Nazioni Unite il 70 per cento delle donne egiziane tra i 15 e i 49 anni sono sottoposte alla mutilazione. Soprattutto da bambine, prima dei 12 anni.