Sacko Soumayla viveva in una baraccopoli a San Ferdinando, in provincia di Vibo Valentia. Aveva 29 anni e, la sera del 2 giugno scorso, è stato ucciso da un altro uomo, con una pallottola di fucile piantata in testa. Era un sindacalista delle Usb, un migrante regolare – come gli altri due uomini insieme a lui – ed era originario del Mali. Non era un ladro, ma un giovane uomo sempre in prima linea per difendere i diritti dei lavoratori immigrati nella Piana di Gioia Tauro, sfruttati e costretti a vivere nelle baraccopoli costruite con pezzi di lamiere. Era proprio una lamiera quella che Soumali stava andando a prendere in quella discarica a cielo aperto dove i rifiuti sono abbandonati senza alcuna proprietà. Un uomo, secondo le testimonianze dei due sopravvissuti, è arrivato in una macchina sparando con un fucile, non aveva alcun diritto di proprietà. Soumali è morto in ospedale. La causa sarebbe un regolamento di conti per far fuori un uomo “scomodo”, l’omicidio – secondo le indagini – sarebbe maturato nell’ambito delle cosche mafiose che gestiscono il racket in quel territorio.

Poche sono state le parole di condanna dal neo ministro dell’Interno Matteo Salvini e poi il silenzio, perché la tolleranza è zero se la vittima è un italiano, il solito menefreghismo è invece la risposta se la vittima è un maliano. Nelle stesse ore, il neo ministro annunciava che “la pacchia”, ovvero la presunta bella vita degli immigrati, è destinata a finire. Eppure di pacchia c’è ben poco nella Piana di Gioia Tauro, come nel vibonese.
Nelle campagne calabresi si lavora e si muore per 2 euro l’ora. I braccianti vivono tra rifiuti tossici e lamiere in campi e capannoni come quello in cui si è consumata la tragedia di Soumali, una struttura ben nota alle forze del’ordine e già sequestrata una decina di anni fa nell’ambito di un’inchiesta della Procura della Repubblica sullo smaltimento e lo stoccaggio di 135 mila tonnellate di rifiuti industriali tossici e pericolosi tra Calabria, Puglia e Sicilia. Il Prefetto di Vibo Valentia aveva imposto la distruzione dei prodotti agricoli coltivati nelle vicinanze dell’area interessata. Questa è la “pacchia” degli ultimi schiavi dei nostri giorni.