Se vi capita di essere a Roma e di passare per via Prenestina, al numero 913, il Maam (Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz – città meticcia) è una tappa fondamentale da visitare. E se non doveste passarci per caso, armati di buona volontà, si può facilmente raggiungere lo spazio museale a cielo aperto che, calato in un contesto abitativo, è “un cortocircuito che mette in relazione i punti estremi della città contemporanea”come lo definisce il suo ideatore Giorgio de Finis. Antropologo e filmmaker, nonché artista e curatore indipendente. Estetica grunge, contaminazioni di street e urban art, il Maam ospita opere d’arte che spaziano dal graffito al dipinto d’autore, entrambi immersi in una scenografia metropolitana.

Ormai pare sia ufficiale: nei prossimi giorni Giorgio de Finis sarà nominato nuovo direttore artistico del Macro di Roma. Una nomina, preceduta dai rumors degli ultimi mesi, che divide il sistema culturale e museale italiano. Tra chi contesta la natura squatter di De Finis – considerandola inopportuna per un grande museo in perenne crisi – e chi vede nel suo nome una coraggiosa opportunità. Noi lo abbiamo incontrato agli inizi dell’estate. Riproponiamo qui l’intervista che Giorgio de Finis ci ha rilasciato il 15 giugno scorso in cui ci racconta il suo punto di vista sulla città di Roma che fa fatica ad essere considerata luogo di incontro per l’arte contemporanea e, sul Macro, la risposta non è così ovvia come in realtà si potrebbe pensare.

L’opera di Borondo, “Piedad”, sui muri del Maam. (Credits foto: facebook.com/museoMAAM)

L’intervista | Giorgio de Finis

Ci racconta cos’è il Maam e come nasce l’idea?
Il Maam è un museo di arte contemporanea calato in una occupazione abitativa. Un cortocircuito che mette in relazione i punti estremi della città contemporanea, il museo, fiore all’occhiello delle metropoli globali in competizione, e lo slum, la polvere che Roma vorrebbe nascondere sotto il tappeto.

Spesso chi visita la Capitale si concentra su monumenti storici, Fori e Colosseo, trascurando invece spazi e musei dedicati a nuove forme d’arte, cosa che invece succede a Barcellona, ad esempio, con il Macba. Cosa ne pensa?
Roma ha un patrimonio archeologico e storico che non ha eguali nel mondo, ma non ha guadagnato ancora un posto altrettanto significativo sul fronte del contemporaneo (fatta eccezione per il Maam, naturalmente!). Pur essendo una città molto contemporanea. Contemporanea in ragione delle sue mille contraddizioni, attraversata com’è dai problemi e dalle contraddizioni del mondo globale. Lo stesso rischio di trasformarsi in un parco a tema ad uso e consumo del turismo di massa è una di queste contraddizioni.

Un museo d’arte contemporanea in periferia. Per dare visibilità alla street art e alle forme d’arte “dell’altro e dell’altrove”. Come si sostiene il museo?
Il Maam è un museo basato sulla logica del dono. Non cerchiamo finanziamenti e non accettiamo contributi. Il Maam opera con lo spirito delle cattedrali medioevali, è una grande impresa corale, un’opera unica, più che una collezione. Anche se ospita numerosi e importanti interventi di street artisti, non direi che il Maam nasce per dare visibilità alla street art (che, sia detto per inciso, oggi ha tanta visibilità che rischia di divenire “decoro urbano”).Lo stesso dicasi per l’arte cosiddetta underground o controsistemica. Controsistemico è il dispositivo, che proprio in ragione della necessità di costituire una barricata d’arte a difesa dell’occupazione, si avvale, quando è possibile, di artisti celebrati dal sistema e con un consolidato coefficiente di mercato.

In foto: Giorgio de Finis, con il vicesindaco e assessore alla cultura di Roma Luca Bergamo.

Qual è, secondo lei, il modo migliore per incentivare l’affluenza museale, soprattutto da parte dei giovani, nella Capitale? Oggi esistono diversi spazi, penso all’Ex Dogana di San Lorenzo con Artfutura, che ospitano mostre pur non essendo musei in senso stretto. E sembrano avere molto successo. Forse perché accanto alle installazioni site specific offrono servizi di svago?
Non sono interessato alle strategie di marketing per conquistare nuovi “pubblici”, ma a riguadagnare il senso pubblico dell’arte. L’arte e la cultura non sono svago e spettacolo. Sono strumenti di trasformazione e di crescita della società.

Pensa che siano sufficienti le iniziative gratuite promosse dal Mibact?
Direi di no.

Cosa dovrebbe fare, secondo lei, nello specifico, l’amministrazione capitolina in sinergia con le istituzioni che promuovono l’arte a Roma?
Forse cercare altrove e non consegnare l’arte al sistema dell’arte, cercando di capire di volta in volta cosa sta nascendo e fare tesoro di queste novità, utilizzandole come antidoto contro l’irrigidimento arterioso del corpo istituzionale. Credo, ad esempio, che chiudere un’esperienza come quella del teatro Valle sia stato un errore.

In foto: l’opera “Le Space est a Nous” di Gregorio Pampinella. (Credits foto: Valerio Polici  per gentile concessione – facebook.com/museoMAAM)

Non crede che, per i non addicted, il Maam possa essere considerato uno spazio espositivo di nicchia poco compreso dai più? Cosa si fa per incentivare le visite?
È uno spazio di nicchia che al tempo stesso è conosciuto in tutto il mondo. E che guadagna ogni giorno nuovi sostenitori per il tramite del passaparola (anche quello reso possibile grazie ai social, naturalmente).

Se le affidassero la direzione artistica del Macro accetterebbe? I rumors la vogliono già al timone. In questo caso continuerebbe il lavoro che ha portato avanti al Maam o ne affiderebbe la curatela?
Non si tratta, né nell’uno né nell’altro caso, di “direzione”, ma di progetti artistici, “dispositivi”, che curerei in prima persona in quanto miei. Accetterei di sperimentare al Macro un nuovo modo di fare il museo, dove gli artisti e i visitatori potrebbero in linea di principio lavorare in un rapporto uno a uno.

In foto: il Maam.

Qual è secondo lei il futuro dei musei di arte contemporanea a Roma, Maxxi, Macro e Maam? Roma continuerà a vivere, se così si può dire, di Colosseo?
Roma non vive neanche di Colosseo, da quello che mi risulta. I soldi vanno ad altri.

Un’ultima domanda. Crede che Roma riuscirà prima o poi ad affermarsi alla stregua di altre Capitali europee, e non solo, come punto di riferimento dell’arte contemporanea? Quanto dipende dagli artisti che espongono e quanto dalle amministrazioni e dai musei?
Siamo ai margini dell’Impero. Forse dovremmo incominciare a fare tesoro di questa situazione, vivendola con dignità e magari rovesciandola a nostro favore. Viviamo una condizione che ci pone in maniera drammatica di fronte alle sfide del nuovo millennio, e questo può essere anche uno stimolo a immaginare altre strade, magari nuove, e, chissà, perfino capaci di farci tornare avanguardia. Non è adeguandoci goffamente agli standard che ci propone la globalizzazione che torneremo ad essere una Capitale contemporanea della cultura e dell’arte. Tutt’al più ci potremo cucire addosso un costumino che corrisponda all’immaginario stereotipato che di noi si ha all’estero, il rischio che vedo nella scelta di alcuni dei recenti padiglioni nazionali alla Biennale.

Info: il Maam su facebook