Migliaia di donne in tutto il Paese protestano da giorni contro la decisione della Corte Suprema che poche settimane fa ha eliminato il diritto all’aborto a livello nazionale.
A New York sono almeno venti le persone arrestate dopo la marcia di protesta organizzata lungo le strade della città e tensioni ci sono state vicino a Bryant Park, nel cuore di Manhattan.
Nella capitale Washington centinaia di persone di entrambi gli schieramenti, pro e contro l’aborto, si erano radunate già dal mattino davanti alla Corte Suprema e a Los Angeles i manifestanti pro-aborto hanno marciato lungo la 110 Freeway, una delle strade più importanti, bloccando il traffico.
Iniziano a chiudere le cliniche dove si poteva abortire ma la “Jackson Women’s Health Organization”, unica clinica abortista nello stato del Mississippi, resterà aperta e per i prossimi dieci giorni continuerà a permettere alle donne di interrompere la gravidanza. La sua proprietaria, Diane Derzis, ha dichiarato: “Stiamo continuando a fornire servizi e le donne come me, e ce ne sono molte in tutto il Paese, faranno la stessa cosa. Non ci arrendiamo“.
La clamorosa sentenza della Corte Suprema di venerdì 24 giugno ha ribaltato il diritto costituzionale all’aborto che dal 1973 era protetto con la storica decisione Roe v Wade. La sentenza rappresenta un colpo alle libertà individuali e al diritto di scelta delle donne. Una decisione che il Presidente Joe Biden ha descritto “devastante e dolorosa” mentre Donald Trump l’ha definita “La volontà di Dio”. Dopo la sentenza i giudici liberal della Corte Suprema Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Stephen Breyer hanno affermato: “Tristemente molte donne hanno perso una tutela costituzionale fondamentale. Noi dissentiamo”.

La protesta delle grandi aziende
Cresce, intanto, la “disobbedienza civile” tra le grandi aziende che hanno deciso di coprire le spese delle dipendenti che dovranno spostarsi per poter abortire. I primi a muoversi sono stati i grandi brand, che in queste ore stanno facendo da motore a questo tipo di contestazione. Si tratta di Starbucks, Tesla, Yelp, Airbnb, Netflix, Patagonia, DoorDash, JPMorgan Chase, Levi Strauss & Co., PayPal, Disney, Meta (Facebook), Dick’s Sporting Goods e Condé Nast.

Cosa succede adesso
Con la decisione della Corte Suprema, il diritto all’aborto non sarà più garantito a livello nazionale e a decidere saranno i singoli Stati. In quelli a guida democratica, l’interruzione di gravidanza continuerà ad essere garantita, ma sono in tutto 26 gli Stati (guidati dai repubblicani) in cui l’aborto potrebbe essere bandito per sempre. Dal Texas alla Louisiana, sette Stati hanno già bandito l’aborto subito dopo la decisione della Corte, altri sette lo faranno nei prossimi 30 giorni.
Negli Stati Uniti, tuttavia, quasi la metà degli aborti praticati sono farmacologici, mentre il resto è chirurgico. Ed è sulla pillola abortiva che potrebbe aprirsi la battaglia legale decisiva per i diritti riproduttivi. L’aborto farmacologico avviene con l’assunzione due farmaci approvata come sicura ed efficace entro le prime 10 settimane di gestazione e la FDA non ha dato indicazione che debba essere assunta in ambiente sanitario, così la maggior parte delle donne lo assume in casa. L’acquisto on line potrebbe essere quindi una soluzione per le donne che abitano negli Stati più antiabortisti, ma in Arizona, Arkansas e Texas è già proibito ordinare le pillole per posta.