“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.
Parole del grande scrittore, semiologo e intellettuale Umberto Eco, scomparso pochi giorni fa all’età di 84 anni. Lo diceva lo scorso 10 giugno dopo aver ricevuto dall’Università di Torino – dove si era laureato in Filosofia  nel 1954 – la laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media”. Un’affermazione che aveva suscitato un dibattito acceso in Italia e non solo. Umberto Eco considerava il web un vero e proprio “dramma” colpevole di favorire il proliferare delle bufale e di promuovere “lo scemo del villaggio a detentore della verità”. Da qui, rivolgendosi ai giornali, sosteneva l’esigenza di “filtrare con équipe di specialisti le informazioni di internet perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno. Per fare questo i giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all’analisi critica dei siti, così come i professori dovrebbero insegnare ai ragazzi a utilizzare i siti per fare i temi”.
Umberto Eco in quell’occasione aveva ricordato anche i meriti del web: “Si tratta di un fenomeno anche positivo. Pensiamo a quanto accade in Cina, in Turchia, ai movimenti di opinione. Qualcuno ha detto: se ci fosse stato internet ai tempi del nazismo i campi di sterminio non sarebbero esistiti perchè le notizie si sarebbero diffuse e sarebbero diventate virali.”
Umberto Eco è morto lo scorso 20 febbraio. Nato ad Alessandria, è stato un semiologo e scrittore di fama mondiale, autore di best seller internazionali tra i quali “Il Nome della Rosa”. Dal 2008 era professore emerito e presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici dell’Università di Bologna.

(fonte: Repubblica Tv)

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