La guerra in Libia è ormai una realtà. Mentre le truppe di Haftar sono alle porte di Tripoli e le bombe cadono sull’aeroporto, sale la tensione internazionale. Il conflitto vede in campo interessi trasversali, Italia e Francia in testa.
L’Italia con l’Onu appoggia l’esecutivo di Fajez Al-Sarraj, mentre Haftar è sponsorizzato da Francia, Arabia Saudita, Egitto, Russia ed Emirati. Un eventuale governo Haftar potrebbe rimettere in discussione equilibri e contratti. L’Italia è storicamente il primo partner di Tripoli, con la Francia primo competitor.
Tra petrolio, gas e il controllo dei migranti, in gioco nel paese africano, ci sono interessi italiani per 4 miliardi di euro.
Il cuore della presenza economica italiana in Libia sono le importazioni di gas e di petrolio ed Eni è il player chiave: un’attività condotta su una superficie complessiva di 24.673 chilometri quadrati. Nel 2018 è stato finalizzato un accordo con la società di stato Noc e gli inglesi Bp per l’assegnazione a Eni di una quota del 42,5% nell’Exploration and Production Sharing di Bp per accelerare la messa in produzione delle riserve. Nel corso del 2018 sono stati avviati: il progetto offshore Bahr Essalam fase 2 (Eni 50%), il potenziamento degli impianti di trattamento gas nell’area di Mellitah (Eni 50%) e Sabratha (Eni 50%) e un programma di ottimizzazione della produzione del giacimento di Wafa (Eni 50%).
C’è poi il gasdotto Greenstream, lungo 520 chilometri, che collega l’impianto di trattamento di Mellitah sulla costa libica con Gela in Sicilia. La capacità del gasdotto ammonta a circa 8 miliardi di metri cubi/anno. Le attività Eni in Libia sono regolate da contratti che hanno durata fino al 2042 per le produzioni a olio e al 2047 per quelle a gas.
Ci sono, inoltre, i crediti vantati da 130 aziende italiane che ammontano ad almeno 900 milioni di euro.
La questione migranti è il tema centrale. A dicembre 2018 l’Oim stimava la presenza in Libia di 623.529 migranti, 434.391 dei quali provenienti dall’Africa subsahariana. Di questi circa 200 mila vorrebbero arrivare in Europa. Un eventuale governo Haftar potrebbe fare come Erdogan: aprire e chiudere i porti a proprio piacimento, in modo da ottenere forti compensazioni economiche. In questi anni, inoltre, l’Italia ha investito molto per addestrare e dotare di mezzi la Guardia Costiera libica e per finanziare alcune milizie, “riqualificandole” nel contrasto ai flussi migratori. Un lavoro iniziato con l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti e continuato con Matteo Salvini. Non è un caso che sia stata scelta Palermo per la conferenza dello scorso anno a cui hanno partecipato sia Haftar che Al-Sarraj.
Le prossime settimane saranno cruciali per il futuro della Libia e della nostra presenza in Nord Africa.