In Marocco essere madri ha il suo prezzo. Avere un figlio al di fuori del matrimonio religioso è vergogna morale e tutte le madri che decidono di farlo sono perseguitate legalmente, spesso abbandonate ed escluse dalla famiglia di origine e da una società che poggia le sue basi su un’etica che vieta l’aborto, ma che al tempo stesso limita legalmente anche le nascite fuori dal matrimonio consueto. Simile è la sorte che tocca ai loro figli, costretti a trascorrere una vita da invisibili agli occhi dello Stato e della comunità. Madri coraggiose che prendono il nome di “Mére Célibataire”, una definizione approfondita nel reportage fotografico realizzato da Zoe Vincenti che qui vi proponiamo e che sarà in mostra all’Elba Photo Fest, dal prossimo 1/9 al 9/10.
Ecco la nostra intervista all’autrice.

INVISIBLE MOTHERS

Come è nata l’idea di fotografare queste “Mére Célibataire”? Hai avuto sempre interesse verso queste panoramiche sociali?
Questo progetto (in corso) nasce da due viaggi fatti in Marocco e dal desiderio di conoscere meglio questo paese e la sua cultura. Durante il primo viaggio ho cercato di mantenere uno sguardo libero e di guardare al paese come un viaggiatore lo osserva dai finestrini di un treno. Mi serviva spazio mentale per avvicinarmi ad una cultura che non conoscevo (e solitamente è molto difficile per una foto-giornalista, potersi prendere questo tempo d’esplorazione). Durante questo primo viaggio ho avuto modo di osservare la vita anche all’interno delle famiglie e dal punto di vista delle nuove generazioni: mi sono subito accorta della fatica, spesso mai compresa, che fanno le giovani donne a sopravvivere secondo le vecchie regole! Dalle confessioni fatte da alcune giovani ragazze già sposate a 20 anni e che avevano dovuto abbandonare tutti i loro sogni per fare le mogli è nata la spinta a fare ricerche su quale fosse la reale condizione della donna in questo paese. Qualche mese prima della partenza per il secondo viaggio ho iniziato a fare ricerche sulla situazione delle Madri single, che mi aveva colpito per la forte discriminazione subita da parte delle famiglie, della società e dello stato. Da qui ho capito che in Marocco questo è un fenomeno in preoccupante aumento. Da una ricerca (fatta dai dati raccolti con difficoltà da alcune Ong ) nel 2011 risulta che le Mère Celibataire in Marocco sono almeno 30.000 all’anno, con 150 bambini nati fuori dal matrimonio, 23 abbandonati ogni giorno e 600/800 aborti illegali al giorno. Ho già lavorato a tematiche sociali come la tratta della prostituzione al confine sud del Messico, Le giovani generazioni indiane in fuga per i matrimoni d’amore, Le storie di migranti tra vecchie e nuove rotte migratorie e molto altro anche qui in Italia. Nel mio sito potrete vedere molti dei miei progetti.

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A tuo parere può davvero la fotografia indurre ad un cambiamento sociale? Credi che sensibilizzare la gente su questi fenomeni possa davvero mutare, proseguendo sempre a piccoli passo, l’attuale situazione in Marocco?
La fotografia può avere un grande potere comunicativo, perché crea un immediata connessione emotiva con lo spettatore, al contrario delle parole che hanno bisogno di più tempo per colpire il segno. Certamente non risolvono tutti i problemi sociali, ma se ben veicolate possono servire a sensibilizzare le persone su un determinato problema e incitarle a fare di più per cambiare le cose. Credo fermamente nel potere curativo ed educativo delle immagini specialmente se legate ad una fruizione ampia e popolare. Per questo progetto ancora in corso, infatti , ho previsto una doppia versione del racconto per immagini che sarà un mix tra campagna sociale e street art, ma non voglio anticipare nulla..

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Hai incontrato personalmente una di queste madri? Che esperienza è stata?
Certo, altrimenti come avrei potuto raccontarne la storia. Il primo passo è stato quello di contattare l’associazione Solidaritè Feminine (ASF) di Casablanca e recarmi da loro per conoscere alcune di queste ragazze. Ero molto preoccupata per come avrei comunicato con loro visto che parlavano solo il marocchino ed oltretutto molte di loro erano anche analfabete, ma con l’aiuto di un interprete e grazie al potere dell’empatia ho in breve tempo stabilito un contatto. Un gruppo di 8 ragazze dai 18 ai 25 anni, tutte illuse dalla promessa di un amore romantico o da un matrimonio e poi abbandonate. Storie di famiglie che ti cacciano per la vergogna e amici e conoscenti che non ti riconoscono più, di difficoltà dalla semplice ricerca di un lavoro e di una casa, allo stigma che marchia anche la vita dei figli. Oltre alle difficoltà con la famiglia, anche lo stato non aiuta a ristabilire equilibrio nella vita di queste ragazze, lasciandole in balia di pregiudizi e leggi che non tutelano la donna. Mentre al padre biologico è concessa ogni via di fuga (non è obbligato a fare il test del dna, per legge ha diritto a possedere tutti i documenti del figlio/a) alla madre non resta che armarsi di tantissima forza per sopravvivere a tutto questo. Molte di loro si affidano alle poche Ong che si occupano del problema, ma altre finiscono subito per diventare prostitute. Ho ancora in mente i loro sguardi di ragazze troppo giovani per essere condannate, spero davvero con questo progetto di far parlare di loro soprattutto nella società marocchina.

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Credi che la fotografia sia uno strumento utile per porre il focus su questioni morali come ruolo della donna nei paesi arabi?
La fotografia è una finestra che si apre nella vita degli altri e ci permette di guardare e di immedesimarci in quel che vediamo. Sta alla sensibilità di chi guarda, tramutare l’emozione in azione. Che lo si usi bene o male, in definitiva è sempre stato un potente mezzo comunicativo di massa e sono tantissimi gli esempi nella storia. La sensibilizzazione verso le tematiche vicine ai diritti delle donne nel mondo arabo come nel resto del mondo, puo essere aiutata da strumenti mediatici come la fotografia e il cinema, ed è un dovere continuare a difendere la libertà delle donne.

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11898864_10204758344698051_2303237348202879917_nL’AUTRICE | ZOE VINCENTI
Fotografa documentarista ed editoriale. Dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti di Milano, si avvicina alla fotografia da autodidatta frequentando i corsi di alcuni tra i più noti fotografi internazionali come Arno Rafael Minkkinen, Stefano De Luigi, Antoine D’Agata, Davide Monteleone, Machiel Botman. Inizialmente lavora principalmente su progetti fotografici di ricerca personale, portando avanti per 7 anni la doppia vita di cantante in una band femminile. Dal 2008, viaggiando attraverso Messico, India, Europa e Nord Africa, inizia a collaborare come freelance per riviste, Ong e aziende nazionali e internazionali. Cambia registro e si dedica alla fotografia documentaria e allo storytelling, con un interesse più profondo su tematiche di identità e genere, diritti umani e sottoculture nella società contemporanea. Collabora con magazines come: D-laRepubblica, TheOprahMagazine(Usa), Wirtshafts Woche (De), Cosmopolitan, Elle, Wired, Touring, Rolling Stone, Internazionale, Sportweek, National Geographic Usa/Cina/India. Da 2 anni è tra i contributors dell’agenzia fotogiornalistica Echo.

Info Zoe Vincenti | zoevincenti.photoshelter.com

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