Una famiglia è il secondo film italiano in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Ne è regista Sebastiano Riso, alla sua seconda opera, dopo il suo esordio alla Semaine de la Critique al Festival di Cannes 2014 con Più buio di mezzanotte. Anche in questa pellicola la protagonista è Micaela Ramazzotti.

Il tema al centro del film è quello della maternità surrogata, anche detta utero in affitto. Vincent, 50enne francese, e la sua compagna Maria, 35enne romana, “vendono” i propri figli a coppie – eterosessuali e gay – che sognano di diventare genitori e per esserlo sono disposti a tutto. Anche a pagare 50 o 80 mila euro scegliendo una pratica in Italia illegale. A far precipitare il tutto è la morte di uno dei bambini venduti e, poi, l’arrivo di un figlio forse malato, “promesso” ad una coppia di uomini, ma rifiutato da tutti, tranne che dalla madre biologica. Maria non è più disposta a fare da incubatrice per altri e sogna una famiglia felice, tradizionale.

In foto: Micaela Ramazzotti in “Una famiglia”.

Il tema è quanto mai attuale e divide da anni l’opinione pubblica. Tuttavia, il risultato di quest’opera, molto attesa al Lido, è assai deludente. Sebastiano Riso cede a tutti i cliché sulla surrogacy attraverso una sceneggiatura sovraccarica di retorica e luoghi comuni con cui annoia e affronta (male) un tema delicato oggettivamente difficile da trattare. L’eccesso di toni pervade gli oltre 100 minuti del film rendendo poco o per nulla credibili i suoi protagonisti. Ad iniziare dalla figura di Vincent, un uomo senza scrupoli, estremamente indifferente a qualsiasi emozione o dramma. Vende, con la compagna, i suoi figli senza mai mostrare alcun momento di esitazione. Un mostro totalmente privo di umanità da restare insensibile perfino di fronte alla morte o alla malattia e che lascia quasi morire la donna di cui è innamorato. E poi c’è Maria. Il nome biblico scelto non è un caso. Come fosse una madonna dei nostri giorni, partorisce con dolore. Micaela Ramazzotti urla e piange, ingabbiata anche in questo film nella maschera della disagiata di periferia, senza famiglia né affetti. In lei non c’è alcuna costrizione fisica, ma accetta tutto per un amore incondizionato. Non manca neppure il cliché Ozpetekiano della coppia omosessuale ricca, con attico con vista Vaticano. Sullo sfondo, un’umanità totalmente corrotta fatta di medici collusi e vicini di casa che osservano, silenti, in una Roma ovviamente sporca e decadente. Figure senza alcuna logica come illogico è il rapporto tra i protagonisti. Sfugge il nodo che li tiene uniti e le loro storie sono solo accennate. E intorno, l’assenza totale di legalità, umanità, di alcuna speranza. Il vero limite del film è, tuttavia, nella visione di una maternità raccontata solo in forma di ricatto, pretesa disumana e mera compravendita. Resta la superficialità totale e l’assoluta assenza di coraggio nel parlare di un tema che avrebbe suggerito mille spunti, oltre il facile spot per ultraconservatori.

Il film è stato accolto in sala da timidi applausi nella proiezione per la stampa, ma sono già tante le stroncature pubblicate soprattutto da blog e media on line. E’ apparso diviso, invece, il pubblico nella proiezione serale in Sala Grande alla presenza dell’intero cast. La platea si è spaccata tra il calore dimostrato soprattutto nei confronti della protagonista e i tanti che hanno abbandonato la sala durante la proiezione o subito dopo i titoli di coda.

Con Micaela Ramazzotti, nel cast figurano il co-protagonista Patrick Bruel, Pippo Delbono, Matilda De Angelis, Ennio Fantastichini. Il film è scritto da Andrea Cedrola, Stefano Grasso e Sebastiano Riso. E’ prodotto da Indiana Production con Rai Cinema e BAC Films Production.