Pochi giorni fa, il Tribunale del Riesame di Genova ha accolto la richiesta della procura di poter procedere al sequestro dei 49 milioni di euro che la Lega – allora Lega Nord – avrebbe ottenuto in maniera fraudolenta tra il 2008 e il 2010.  La Cassazione aveva già stabilito il sequestro di qualsiasi somma riferibile alla Lega “fino a raggiungere 49 milioni di euro.” I legali del partito, nei prossimi giorni, presenteranno ricorso in Cassazione contro il provvedimento, come per altro già annunciato, ma già si pensa all’ipotesi di rateizzare il debito.

La sentenza, come da copione, ha fatto gridare Matteo Salvini al complotto con parole e toni che hanno rievocato la guerra contro le presunte “toghe rosse” portata avanti per oltre 20 anni da Silvio Berlusconi. In un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano, l’ex tesoriere Belsito ha detto pochi giorni fa: ‘Quando sono andato via ho lasciato 40 milioni. Mi hanno scaricato, ma adesso viene il bello. Sono pronto al confronto con Salvini e Maroni”. Alessandro di Battista (M5S) in un’intervista televisiva ha chiesto alla Lega di “restituire tutto, fino all’ultimo centesimo”, mentre Salvini lo ha liquidato dicendo: “Peccato che non sia in Parlamento, fosse ministro come Luigi Di Maio, con cui lavoro benissimo, probabilmente avrebbe tanto tempo per lavorare e meno tempo per parlare“.

Oggi, secondo la Repubblica, nei conti corrente della Lega ci sarebbero poco meno di 5 milioni di euro.
Che fine hanno fatto quindi i restanti 35 milioni? E gli altri? E’ davvero un “processo politico”? La realtà è come sempre molto diversa dalla propaganda e dalla narrazione che ne viene fatta dai suoi protagonisti. Proviamo qui a capire i motivi dell’enorme debito che la Lega ha con gli italiani e quali siano le responsabilità degli attuali e vecchi dirigenti del partito, ad iniziare da Umberto Bossi che la “nuova” Lega salviniana ha riportato in Senato, con le ultime elezioni politiche del 4 marzo, nonostante la condanna.

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L’INCHIESTA E LA MAXI TRUFFA AI DANNI DELLO STATO

La sentenza del tribunale di Genova ha condannato Umberto Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito per truffa all’erario. Tutto parte nel mese di aprile 2012, grazie all’esposto di un militante della Lega sugli investimenti in Tanzania e Cipro: Belsito viene indagato per truffa ai danni dello Stato e finanziamento illecito ai partiti dalla Procura di Milano, e per riciclaggio da quella di Napoli e Reggio Calabria. A metà maggio, nel registro degli indagati finiscono anche Umberto Bossi e i figli Renzo e Riccardo; i reati contestati sono truffa ai danni dello Stato per l’uso illecito dei rimborsi elettorali della Lega Nord, e appropriazione indebita per i secondi.

Nel 2014, il gip di Milano Carlo Ottone De Marchi divide il processo in tre parti: due a Milano, e una terza a Genova. Nel 2017 arrivano le sentenze di primo grado: Umberto Bossi e i due figli sono condannati per appropriazione indebita. Pochi giorni dopo, il “Senatur” e Belsito sono ritenuti colpevoli per la “maxi truffa al Parlamento di 48.969.617 di euro di rimborsi pubblici ottenuti fra il 2008 e il 2010.”
Inoltre i due vengono condannati dal Tribunale di Genova a pagare un milione di euro a titolo di provvisionale a favore di Camera e Senato che si erano costituti parte civile nel processo.

Quanto alle motivazioni, si legge che “l’irregolare gestione contabile (di Bossi e Belsito, ndr) si protraeva da anni e che egli, suoi familiari e persone del suo entourage erano i beneficiari delle spese, anche ingenti, a fini privati.” L’inchiesta parla di viaggi, diamanti, auto di lusso, senza dimenticare la celeberrima laurea del “Trota”, come era chiamato Renzo Bossi.

La procura di Genova, non fidandosi dei conti in rosso della Lega, chiede “il sequestro cautelativo con il blocco dei conti bancari e dei patrimoni immobiliari del partito”, ma la richiesta non viene accolta dal tribunale. Così alla Lega vengono sequestrati poco meno di 2 milioni di euro.
I pm genovesi si rivolgono così al riesame (che dichiara inammissibile il ricorso) e poi alla Cassazione che si è espressa pochi giorni fa, dunque, per il sequestro di qualsiasi somma riferibile alla Lega “fino a raggiungere 49 milioni di euro.”

(Foto credits: facebook.com/salviniofficial)
I FINANZIAMENTI “ALTERNATIVI”

Un’inchiesta de L’Espresso ha indagato sui bacini di finanziamento “alternativi,” cioè “fondazioni o altri enti vicini al partito ma tali da poter aprire proprio depositi senza che questi siano aggredibili dalla magistratura.”
La fondazione Più Voci è stata creata un anno e mezzo fa dall’attuale tesoriere Centemero. Sul suo conto sarebbero stati versati oltre 200mila euro dal costruttore Luca Parnasi, recentemente arrestato per lo scandalo della stadio della Roma.

Intanto la Procura di Genova ha aperto un procedimento per riciclaggio per cercare di far luce sulla presunta sparizione dei quasi 50 milioni di euro che potrebbero essere stati “messi al sicuro con una serie di artifici proprio per schermarli dalla successiva azione della magistratura.” Per la Guardia di Finanza, attraverso la Sparkasse di Bolzano, alla fine del 2016, 10 milioni sarebbero stati investiti nel fondo Pharus in Lussemburgo, e 3 sono rientrati all’inizio di quest’anno.

Salvini e Centemero hanno negato tutto, sostenendo di non aver mai saputo nulla di quel denaro, ma un’altra inchiesta de L’Espresso dimostra che, tra la fine del 2011 e il 2014, prima Maroni e poi Salvini hanno incassato e usato i rimborsi elettorali frutto del reato commesso dal loro predecessore. L’Espresso sostiene inoltre che la Lega avrebbe “cercato di guadagnare soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e multinazionali”—cioè di “colossi come l’americana General Electric, la spagnola Gas Natural, le italiane Mediobanca, Enel, Telecom e Intesa Sanpaolo.” Fatti che, se confermati, dimostrerebbero il diretto coinvolgimento anche dell’attuale segretario e ministro degli Interni Matteo Salvini, in una vicenda che smentisce ancora una volta la retorica legalitaria del leader leghista.

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