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“…. La linea di frontiera del 2008 è stata tracciata da un film che, grazie alla sua fama mondiale, si è rivelato essere il maggior polarizzatore per la nuova migrazione e la trasformazione radicale del mondo del clubbing. Sto parlando di Berlin calling. Il film, firmato dalla regista Hannes Stöhr, offre uno spaccato della scena berlinese della metà degli anni Duemila. Il sogno berlinese è incarnato dalla storia di DJ Ickarus, pseudonimo del producer Paul Kalkbrenner, che esplode nei club più famosi del periodo entrando in una spirale di droghe. La situazione lo porta a perdere il contatto con la produzione del suo nuovo album, fino alla perdita totale del controllo su se stesso. La conclusione, per me abbastanza retorica, è la salvezza attraverso la musica e la volontà di emergere in un mercato del clubbing e della produzione musicale elettronica che non ha remore, né scappatoie, né umanità, se non attraverso il duro lavoro riabilitativo (lo spaccar pietre nella miniera della produzione musicale, quasi a voler mal celare un’etica protestante tipica di certa cultura tedesca). Il film è stato girato in alcune location storiche di Berlino Est, quali il Maria Am Ostbahnhof e il Bar 25, entrambe riformatisi in differenti progetti nell’arco degli ultimi anni. Berlin calling risquote un grande successo nei festival e nelle sale di tutto il mondo presentando proprio il “sogno berlinese”: la possibilità di farcela in una città tollerante, democratica e multiculturale, dove la produzione artistica trova il suo humus più fertile e dove tutti vivono in pace, libertà e creatività come in un’eterna alba su Alexander Platz. Nel materiale promozionale il musicista viene raffigurato in ombra, di spalle, con le cuffie in testa, quasi a voler evocare un’immagine di socialismo reale o la visione futura della Berlino che sta per esplodere e la cui torre della radio è la bomba innescata in un momento dissolvente, l’afterglow dell’alba/tramonto.

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E Berlino scoppia violentemente dopo l’uscita del film dando finalmente un quadro esemplificato, designato ad hoc, del suo sogno: la volontà di abbandonare tutto alle spalle e volare nei cieli della propria arte, diventare “Ickarus”, con lo minaccia della caduta all’inferno se non ci si comporta bene. In realtà l’immagine quotidiana è tutt’altra. È duro lavoro sì, ma è anche un’infinità di gente allo sbando, senza né arte né parte che arriva nell’alba dorata di Clubland e, dopo prove banali di integrazione senza progetto, si ritrova a cadere nella schiavitù delle “scene”, a vivere di quella popolarità del momento che si dà nella pura esposizione – così come da presenza costante ed economia del “like” in un social media – senza fondamenti progettuali, diventando ciò che io definisco nella short novel un social bottom. Da una parte c’è chi lo sceglie consapevolmente come progetto esistenziale nichilista, il parcheggio nel cimitero della serenità da weekend esteso a vita come spazio di eutanasia controllata, dall’altra c’è chi invece un progetto ce l’ha e arriva con i suoi linguaggi da applicare a una varietà di tessuti culturali, studiando i meccanismi di produzione culturale, di relazione sociale e di semiotica del marketing fino ad arrivare a delle proposte effettive che, quando funzionano, diventano periodicamente dominanti e in grado di “produrre metropoli”.

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Questa è parte della mia biografia; la storia di un rapporto difficile e dialogica con una città che ho sempre vissuto come ostile e contemporaneamente amica
, poiché antitetica rispetto a tutto ciò che rende la mia vita piena di gioia, ma pronta ad ospitare il mio odio. Fredda e buia, “solitudinaria”, brutale nel quotidiano, inelegante nei suoi cittadini, scarna nelle sue relazioni, banale nella sua logica dialettica, povera nelle sue economie, aggressiva nella sua lingua, brutta architettonicamente, urbanisticamente formale, volgare e anerotica, appestata da puzza di birra e kebab e con stazioni della metro che sembrano cessi chimici, Berlino sarebbe stata perfetta per autoprodurmi un trauma esistenziale dove far uscire tutte le mie incapacità, i miei mostri, i miei scheletri nell’armadio mettendo al centro quell’etnografia delle emozioni in cui provarmi e leggermi, auto-descrivendo i miei stati d’ansia, i miei incubi, le mie inibizioni, le mie vergogne. Al quinto anno della mia permanenza ho capito molto di me e ringrazio Berlino di avermi sopportato nella mia aggressività, nella mia violenza, nella mia depressione. La capacità di leggermi l’ho prodotta con un testo, nello specifico una festa, più nello specifico un evento Queer bimestrale, sempre più nello specifico “Gegen”. Ma di questo parlerò più avanti, iniziando il mio percorso attraverso una “Berlino ballata” ovvero i club, le scene, i soggetti, gli artisti, le politiche, i modelli di lavoro creativo, le trasformazioni urbanistiche, i festival e le street parade che hanno fatto di me un soggetto creativo, produttivo e libero di divenire, all’interno di una città eternamente irrisolta, checché ne sarà del/la sua fine.

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Per questo ho deciso di produrre un testo multisited, cercando di rappresentare attraverso la sperimentazione di una molteplicità linguistica, un’eteropia multiplanare che si ponga in quei punti convergenti e contemporaneamente divergenti del clubbing berlinese. In primis, la trasfigurazione della metropoli-Berlino attraverso il clubbing verrà descritta con uno sbandamento psico-geografico che ne fratturi la fisionomia. Parto da me come soggetto sospeso in un sogno lucido in tonalità di grigio – dove giorno e notte si disperdono – dato dal desiderio di libertà, dalla voglia di conoscenza, dall’assunzione di droghe, dalla liberazione del corpo, dallo studio dei meccanismi della produzione culturale, dalla fame di un’etnografia cannibale che si nutre di una performance sociale dell’esperire, del consumare, dell’ingoiare e defecare l’altro da me. Mi muovo senza rispettare cronologie, importanze storiche, variabili di intervento che ne ordinino le caratteristiche musicali, o il potere contrattuale sull’economia creativa nei processi produttivi dell’entertainment. Tale cruising o sbando toccherà alcuni club e organizzazioni che sono stati portanti per la mia esperienza, non volendo assolutamente essere esaustivo anche perché, in un contesto in cui le industrie della felicità si aprono e chiudono in scene annue o addirittura semestrali, sarebbe comunque impossibile riuscire a fare una descrizione ferma e in tempo reale; né tantomeno risulterebbe interessante fare una semplice lista dei luoghi.

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In seconda istanza, la narrazione prenderà dei toni di carattere analitico, ibridandosi con la descrizione urbana, andando a caratterizzare alcuni aspetti specifici, ovvero le metodologie e tecniche di lavoro creativo nella produzione culturale, gli interventi politico-sociali della forza di impatto sul governo della città e il mutamento urbanistico che l’esplosione di alcuni club produce nel frastuono del continuo farsi metropoli-mondo. Alla faccia e al corpo di queste due tracce letterarie se ne aggiunge una terza che ne rappresenta la sua anima narrativa, la sua coscienza sporca, la famosa tenia del romanzo Il Lercio di Irvin Welsh che, dissonante e graficamente brutale rispetto all’estetica del testo, cresce come un tumore all’interno del suo stomaco, nel farsi analisi politicamente scorretta in una dialettica triangolare con le altre due voci narranti.

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E questa è la storia ideal-tipica di un nuovo migrante, un hipster qualsiasi e gay il quale, intrappolato dall’utopia del life-style berlinese come area del possibile, vive nel profondo la problematica dell’essere in uno spazio spasmodico, dove il confine tra libertà e mercato transnazionale non sta nell’accesso al consumo ma nella prigionia dell’auto-consumo fino alle sue massime conseguenze. 5350684_323793In questo modo, la terza voce narrante informa la seconda e la prima dei suoi luoghi oscuri per sviscerare “il male di essere”, cercando di dare degli elementi di bellezza e trauma nella libertà del divenire. A voi la libertà di non scegliere”.
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Da: Tanz Berlin – Oltre il muro del clubbing
di Francesco Macarone Palmieri
Ed. Manifestolibri
www.manifestolibri.it/tanz-berlin/