Quella di Marco Moreggia è una gran bella storia che ha inizio sul finire degli anni 80, e cioè quando a Roma e su tutta la penisola, cominciano ad arrivare nuovi suoni da oltreoceano, quelli della House Music. Marco, infatti, comincia da subito a lasciare il segno attraverso eventi che hanno fatto la storia del clubbing, in particolare con I Ragazzi Terribili, gruppo con il quale riesce a creare un ponte tra Roma e New York, lanciando per un decennio un nuovo modo di fare party e coinvolgendo artisti che non si erano mai esibiti in Italia prima di allora, come Adeva, Ten City e Ce Ce Rogers. A questo periodo segue una carriera fatta di numerossissimi club e locali che ancora oggi lo vogliono come dj resident o come guest e di innumerevoli collaborazioni nel campo della moda, del cinema e delle arti visive, trovandosi quasi sempre al fianco di artisti e personaggi di un certo calibro, come Lindsay Kemp, Franca Valeri, Tim Burton, Sergio Colantuoni, Lucio Dalla, fino ad arrivare a stringere un sodalizio con Fabrizio Bosso, l’alfiere italiano del jazz, con il quale firma un album uscito su Verve nel 2014, intitolato Magic Susi, e che lo accompagna in una delle tracce del suo ultimo album Journey Ep, lavoro appena sfornato dalla Mystic Records e rilasciato solo su vinile a edizione limitata che somiglia a un viaggio interiore, a tratti ipnotico, a tratti acido, poetico, cosmico che scava l’anima.
Ci siamo fatti invitare da Marco Moreggia per un caffè per saperne un po’ di più di lui e della sua storia.

MARCO MOREGGIA | L’INTERVISTA

Che ricordi hai del periodo che ha dato luce al personaggio Marco Moreggia?
I miei ricordi sono legati a I Ragazzi Terribili, alla giovinezza e a una Roma in pieno fermento notturno… Parliamo della fine degli anni 80. Non mi sono mai visto come un personaggio, ho sempre voluto che le persone vedessero la mia parte creativa e le mie scelte artistiche che ho cercato di alimentare durante i miei tantissimi viaggi a New York e Londra.

Come è proseguita la tua storia dopo i Ragazzi Terribili?
Questo è un tasto un po’ dolente: dopo I Ragazzi Terribili, ho avuto un lungo periodo di allontanamento e di chiusura artistica, se così si puó dire… Chiamiamolo sbandamento personale. Non riuscivo piú ad avere empatia con la mia parte musicale e con le persone, il pubblico… Fino a quando non mi hanno proposto la residenza al Supper Club di Roma e Amsterdam che è durata 5 anni circa. Quell’esperienza  per me è stata come una scuola che mi ha responsabilizzato moltissimo. Non avevo mai messo i dischi 7 giorni su 7… Da lí in poi, ho cominciato a guardare la mia professione in un modo piú maturo.

Qual è stata la tua prima esperienza discografica?
La mia prima esperienza discografica risale al 1991, con il mio primo progetto Three-Bú e la nascita della Mystic Records.

E poi cosa è successo?
Ho fatto altri dischi: nel 92 uscì “Seize the Day” un altro Ep del progetto Three-Bù, questa volta su Antima Records (Irma Rec.). Nel 94 fu la Bassline di New York a produrre “Wiwanyag Wachipi – I don’t want you I don’t need you”, un disco prodotto da me e Victor Simonelli. Poi seguirono 2 compilation per il Supper Club, una per la linea aerea KLM e la collaborazione alla colonna sonora del film “The Italian Villa con le Suicide Girls, per la quale scrissi due brani. Nel 2014 ho firmato assieme a Fabrizio Bosso “Magic Susi” per la leggendaria Verve, album che vede la collaborazione di alcuni dei più importanti musicisti nel panorama jazz e non solo. E poi il mio nuovo lavoro “Journey Ep” che torna su Mystic Records.

Parlaci della tua ultima fatica Journey Ep.
“Journey Ep” nasce esattamente dopo quattro anni dalla mia uscita su Verve, questo disco è un viaggio che mi piace definire ipnotico, a tratti acido, ora poetico e un po’ cosmico, reso prezioso dalla voce di Mila in “Journey 1” e dalla partecipazione di Fabrizio Bosso in “Journey 2”.

Sappiamo che hai stretto tantissime collaborazioni anche nel campo della moda, dell’arte, del cinema… Quale ricordi con maggior affetto?
La figura che ricordo con maggiore affetto è sicuramente quella di Sergio Colantuoni con il quale ho collaborato molti anni per prestigiose griffe della moda, sia per sfilate, che per presentazioni, allestimenti sonori e importanti eventi a Milano, Firenze, Roma e Padova. Lavorare con lui mi ha aiutato a sviluppare una visione e una conoscenza più completa della musica, le continue ricerche, su periodi storici e di costume, hanno messo in evidenza quella parte di me piú eclettica e aperta alle contaminazioni che è poi quello che caratterizza i mei set nei Club e le mie produzioni di oggi.

Cosa ne pensi della club culture italiana?
Penso che abbia perso molto in identitá: sono pochi i Club che hanno il coraggio di investire sui DJ resident locali, ognuno fa a gara a chi ha la guest con il nome piú altisonante e tutto questo per me uccide l’idea di Club che, invece, dovrebbe essere costruita da uno stile musicale con una precisa identitá, dalle persone che lo frequentano tutto l’anno e non da un pubblico occasionale che segue il DJ del momento…

C’è una città dove preferiresti vivere?
Qualche anno fa ti avrei detto New York, per la quantità enorme di emozioni che mi provoca. Ora ti dico che il mio sogno è andarmene nei trulli, tra Cisternino e Ostuni, perché è lì che riesco a trovare la parte migliore di me.

Quale rapporto hai con le arti visive?
Ho un rapporto semplice che si basa sulle emozioni… Un’opera mi deve catturare, deve provocare in me delle reazioni, scatenare la percezione e la libera immaginazione. Diciamo che sono stati questi i motivi per i quali ho chiamato Barbara Salvucci: dopo aver visto la sua opera “Disegni”, ho subito pensato che la musica di Journey 3 avesse trovato il suo giusto racconto. 

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