Saggista, insegnante e collaboratore per Linkiesta e Il Fatto Quotidiano, Dario Accolla, nel suo ultimo libro “Non passa lo straniero – Come resistere al discorso sovranista” (Villaggio Maori Edizioni), scrive di identità, tradizione, tradimento, nazionalità. Il sovranismo è incentrato su brevi ed efficaci messaggi, si nutre di stereotipi e pregiudizi semplificando la complessità della realtà contemporanea. Una cultura vincente, in termini elettoriali, ma che guarda al passato. Il testo è uno strumento che vuole «arginare la deriva di un narrazione manipolata, nutrita spesso da disinformazione e ingenuità». Non passa lo straniero è un viaggio tra storia e contemporaneità, aneddoti e dati statistici. In questa intervista, Dario Accolla ci aiuta a capire un po’ di più di questa Italia sempre più a destra.

Nel tuo ultimo libro Non passa lo straniero cerchi di destrutturare stereotipi e pregiudizi: come sono diventati “certezze” granitiche per milioni di elettori?
Passando dalla complessità alla generalizzazione. Tendiamo, per semplificare, a “conoscere” l’altro da sé attraverso riduzioni di complessità. Fa parte della nostra natura, d’altronde, procedere per classificazioni di massima. Gli studiosi che cito nel libro dimostrano che dietro gli stereotipi c’è un dato di verità. Ad esempio, è vero che alcuni stranieri hanno compiuto crimini. Diventa uno stereotipo quando siamo disposti a credere che comportamenti specifici si traducano in caratteri identitari per intere categorie di persone. Su questi si innestano i pregiudizi, ovvero le valutazioni negative che riversiamo sugli altri. Con l’aggravante, tuttavia, che è una generalizzazione che usiamo per ferire.

Dario Accolla

Qual è la ragione del successo della retorica sovranista?
I sovranisti utilizzano pochi concetti e slogan semplici da comprendere. Viviamo una crisi di lunga durata e queste forze rendono riconoscibili i presunti responsabili (l’euro, l’Europa, ecc) e soprattutto i capri espiatori: i migranti su tutte le altre categorie. Su di loro si riversano tutte le responsabilità del tempo presente, con frasi ad effetto – si pensi a quando si dice che vengono qui in Italia a rubare il lavoro, ad esempio – e la frittata è fatta.

Le narrazioni sovraniste hanno come bersaglio “categorie” sociali ben determinate: ebrei, musulmani, rom, donne, persone Lgbt. E, soprattutto, migranti. Perché? È la solita strategia della ricerca del capro espiatorio?
L’identità interroga l’essere. Ciò che è identico a me permette di identificarmi in una categoria riconoscibile. L’italiano, l’eterosessuale, il cristiano… Ne consegue che l’opposto dell’identità, la diversità, venga percepita – a livello simbolico – come il contrario dell’essere, ovvero il non essere. Tutto ciò può essere identificato con un vuoto esistenziale. E ci sentiamo minacciati da questa presunta “sottrazione di esistenza”. Ciò ci induce a passare all’attacco. E cerchiamo di far fuori ciò che consideriamo una minaccia. Il sovranismo ha capito che facendo leva su queste paure, raccoglie voti. Tanti voti.

Matteo Salvini

Nel tuo testo scrivi di quanto sia necessario riconfigurare il concetto di identità, anche nazionale: come e su quali basi pensi si debba ricostruire?
Assistiamo a rigurgiti nazionalisti e spesso anche fascisti. Ritornare al concetto ottocentesco di “nazione” e di nazionalismo è pericoloso. Sappiamo dove portano quelle strade. Occorre, a mio giudizio, prendere quel termine e dargli un significato nuovo. Un determinato territorio prospera nel momento in cui chiunque vi sia presente – dai “nativi” a chi vi migra – contribuisce alla crescita collettiva: culturale, economica, demografica, ecc. Oggi il ruolo dei migranti in Italia è importantissimo per molti motivi: pagano le nostre pensioni, fanno lavori che gli italiani non vogliono fare, popolano le nostre scuole. E non solo: imparano la nostra lingua, tentano di integrarsi, accogliendo le nostre abitudini (pur rimanendo legati alle loro). Il concetto di Stato – che preferisco a quello di nazione – del nuovo millennio deve tener conto di tutto questo: l’arrivo delle nuove culture. Dall’incontro e l’integrazione reciproca nascerà la società del futuro. È un processo incontrovertibile, se non al prezzo di grandi tragedie umanitarie.

Dalla tua esperienza di insegnante, come valuti il rapporto tra le nuove generazioni e la propaganda sovranista? Credi che la scuola crei i giusti anticorpi per far comprendere e affrontare pregiudizi e stereotipi?
Lavoro con ragazzi molto giovani – spesso con bambini e bambine – e la politica raramente entra in aula. Di certo, sono esseri umani calati in un contesto sociale specifico. E da quel contesto si assorbono idee, parole, modi di vedere il mondo là fuori. È compito della scuola intervenire per creare una coscienza critica nell’ottica del bene comune. Il faro è dato dalla Costituzione e dallo stato di diritto. Se la scuola lavorerà bene su questo doppio binario, per il sovranismo ci sarà un futuro difficile.

Dario Accolla

Tra sardine e movimenti green, sembra stia emergendo una nuova coscienza antisovranista in Italia e in Europa. Insomma, i più giovani ci salveranno?
Credo sia fisiologico che le nuove generazioni sentano l’esigenza di esprimere il proprio punto di vista sul futuro: il futuro è quella fetta di esistenza che li riguarda. E il sovranismo guarda al passato. Sono dimensioni destinate ad entrare in conflitto. Guardo con affetto ai movimenti ambientalisti. La sinistra potrà ritrovare una nuova identità proprio in tali istanze. Riguardo alle sardine, invece, resto a guardare. Cerco di capire che strada prenderà questo fenomeno. Non le demonizzo, anzi, credo che abbiano avuto il grande merito di aver rotto il giocattolo mediatico di Salvini. Vediamo come cresceranno e quale direzione prenderanno.

Oltre che insegnante e scrittore, sei un attivista per i diritti Lgbt+. A che punto siamo in Italia e pensi che ci si possa aspettare passi in avanti dall’attuale governo? La lotta contro l’omo-transfobia, ad esempio: hanno depositato proposte di legge sia il M5S che il Pd, ma è così difficile trovare una sintesi?
In Italia siamo tremendamente indietro. Come comunità, prima ancora che come movimento. Ci facciamo piacere leggi a dignità limitata – l’ultima è quella regionale in Emilia Romagna contro l’omo-transfobia – pensando di arrivare al passo con i paesi europei più avanzati. Ma per arrivare al punto massimo di civiltà, devi esigere il massimo. Se ci accontentiamo delle mancette di palazzo, stiamo solo rallentando la nostra lunga marcia verso l’uguaglianza. La politica ha capito benissimo che concedere poco alla volta, con mediazioni al ribasso, è una strategia vincente perché sopisce le coscienze e tarda il raggiungimento dell’uguaglianza formale. Il “palazzo” è strutturalmente omofobo perché la nostra società è di fatto omofoba (e con essa, la quasi totalità dei partiti che compongono l’attuale parlamento). Non mi aspetto nulla di buono per quanto riguarda i diritti Lgbt+, perciò, da questo governo. E, visti i precedenti, forse è meglio non aspettarsi nulla. Qualsiasi provvedimento nascerebbe sotto la scure delle mediazioni al ribasso. E non è più tempo per la solita politica arrendevole e bigotta.

Matteo Salvini e Georgia Meloni oggi godono ancora del consenso della maggioranza (relativa) degli elettori. Credi che quella proposta possa risultare “vincente” ancora a lungo in Italia?
Se i partiti al governo continueranno a beccarsi e a pensare alle loro fortune elettorali, Lega e FdI governeranno l’Italia per almeno un’intera legislatura, a breve. Non vedo, nel Pd e nel M5S, nessuno in grado – al momento attuale – di fornire una visione e risposte valide per il Paese.

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Di Mauro Orrico
Salentino di origine, romano di adozione, è laureato in Scienze Politiche (La Sapienza) con Master in Tutela Internazionale dei Diritti Umani. Ha lavorato per Rai3 e La7d. Da 12 anni è anche organizzatore di eventi di musica elettronica e cultura indipendente. Nel 2014 ha fondato FACE Magazine.it di cui è direttore editoriale..