Dal 2005 ad oggi, gli Elettronoir hanno scritto tanta musica, ben 5 album, si sono esibiti oltre cento volte in tutta Italia, anche davanti a 30000 persone come all’Imola Heineken Festival in apertura ai Depeche Mode e Morrisey, vincendo un contest. Oggi la band romana composta da Georgia Lee (voce), Marco Pantosti (voce, pianoforte) e Maurizio Sarnicola (basso e campionamenti e co-produttore artistico), è al quinto album, “Suzu”, prodotto da Elettronoir/Goldmine Records. Il disco, masterizzato da Giovanni Versari (già collaboratore di Verdena, Capossela, Giovanardi, G.L. Ferretti, Afterhours) è uscito ad ottobre del 2017, è composto da 8 tracce ed è stato anticipato dai due video “Resonance” e “Postalmarket”.
Un album che racconta la guerra, un disco sofisticato e prezioso. Un mondo sonoro che va ascoltato e riascoltato perché gli Elettronoir sono, senza dubbio, uno dei migliori progetti musicali degli ultimi anni.

Domenica 8 aprile si esibiranno in concerto a Roma in occasione di Spring Sunday, l’Official Party del nostro FACE Magazine.it, alle 21.00 da Contemporary Cluster (l’ingresso è gratuito). (Per info: clicca qui).
Noi abbiamo incontrato Marco Pantosti, voce e pianoforte degli Elettronoir.

ELETTRONOIR | L’INTERVISTA

Il vostro ultimo album è incentrato sul tema della guerra, “sull’umanità ai tempi della disumanizzazione”, come l’avete definito. Come è nata l’idea?
È nato tutto spontaneamente. Il disco doveva trattare la figura de “La Santa Muerte”, la santa salvifica che allevia le pene della morte. Ma durante le lavorazioni del disco venivamo assaliti dalle immagini provenienti dalla Siria. Nulla di salvifico o dolce quindi. Tutto estremamente vorace, violento e reale. Non ce la siamo sentiti di raccontare altro che non fosse la realtà del genere umano: la disumanizzazione che ci siamo creati per negare noi stessi.

Chi è Suzu?
La sintesi, lo spot sbagliato e verosimile, lo specchio di ció che siamo capaci di realizzare, ció che abbiamo scelto di essere. Il titolo “Suzu” nasce dalla testa di un padre che nella posizione de “La Pietà” di Michelangelo copre la scritta di un pickup giapponese della Isuzu. Suo figlio è immobile fra le sue braccia, sono passate le bombe e tutto torna ad essere solo un silenzio che pietrifica.

Suonate con un pianoforte, un basso fuzz, ed i synth, senza batterie acustiche e chitarre. Come definireste il vostro genere musicale? Ci sono degli artisti – intellettuali, musicisti o band – a cui vi ispirate?
Il procedimento che ci ha sempre contraddistinto è stato quello di scegliere il vestito migliore per le nostre produzioni. Nulla di aprioristico. Le nostre idee funzionano meglio così. I sintetizzatori fanno di tutto. Laddove non arrivano loro coloriamo col pianoforte che per sua natura è un’orchestra ambulante da sporcare con il basso elettrico. Non ci sono artisti particolari che si esprimono così. Più che altro frammenti e segmenti che prendiamo in considerazione per confrontare il nostro stile con le produzioni contemporanee che ci affascinano. Nel nostro destino troviamo la ricerca di Morricone e De Andrè come le ossessioni di Nick Cave o di Roger Waters. Abbiamo ascoltato i Soft Moon ultimamente e ci sono piaciuti molto. Suoniamo una nostra idea di New Wave e quindi tornano spesso soprattutto i Joy Division. Ma siamo davvero onnivori e spaziamo su tutti i fronti…

Il brano Postalmarket è tratto da un’intervista di Al Jazeera ad una delle tante soldatesse curde del YPG che combattono in Siria. Cosa rappresentano per voi queste donne e la loro lotta?
Un baluardo di civiltà. Loro combattono contro i mostri creati dall’occidente “evoluto”. Mostri e barbarie messe in campo dalla finanza per controllare le
risorse di quelle terre. Ricordiamo che il medio oriente è la culla della nostra civiltà, del
pensiero e dello spirito. Il loro sacrificio dovrebbe essere il solo esempio per risollevare i destini del mondo. Invece sono dimenticate e lasciate in silenzio. Se ne parla poco e male. Ed il fatto che siano donne in trincea rende questa esistenza ancora più drammaticamente epica. I figli in braccio e nell’altro un kalasnikof…quale forza e quale dignità maggiore di questa esiste?

Quanto siete cambiati dal primo album ad oggi? E quanto, secondo voi, è cambiata la musica in questi anni?
Noi facciamo ricerca e sapevamo fin da subito che non avremmo mai riproposto nulla di quanto compiuto in precendeza. Senza targhet e senza limiti. In 12 anni abbiamo evoluto tutto. Si sono avvicendati tanti artisti che hanno collaborato ed ognuno ha spostato sempre l’asticella oltre…siamo un collettivo in continuo divenire e tutto porta solo avanti. La musica sopra di noi invece sembra essersi un pó fermata ai soliti clichè…c’è una sovrapproduzione evidente di tanta roba uguale, in forocopia, anche se portata avanti da diversi interpreti/autori. Purtroppo la crisi economica ha portato alla ribalta “n” cantautori penalizzando le esperienze legate alle band. “n” cantautori che nonostante produzioni importanti, tutti insieme, non esprimono la passione di una qualsiasi parola scritta da un De Andrè. Arrivano e passano, resta davvero poco. Credo che questo sia il male di chi produce dall’alto, oggi: stringere tutto all’istante non dando respiro agli esperimenti legati a tempi più dilatati. Forse qualcuno dovrebbe ricordarsi più spesso che la Musica è un’Arte…

L’autoproduzione è stata una scelta o una necessità?
Una scelta necessaria. Prendi il dovere di Reprimere. Esce nel 2005, post Genova ed in pieno delirio delle destre europee. Guarda che dischi uscivano in quegli anni…leggi i titoli ed i testi.
Ora, quale etichetta secondo te avrebbe prodotto un disco che sonorizzava il monologo di Volontè in indagine di un cittadino…di Elio Petri? Si cantava in quei tempi “Arriva lo ye ye” o se proprio volevo cercare un pó di critica c’erano i 99 posse ma i centri sociali stavano già agonizzando e chiudendo…ma era la nostra scelta artistica…
Che facevamo? tacevamo?
No, abbiamo da dire ed il disco lo facciamo noi. Le etichette piccole scimmiottano le major e le major si fanno sotto quando diventi un fenomeno per un pezzo di massa. Non basta fare musica di livello, devi avere già un numero cospicuo di potenziali acquirenti…Chi poteva produrre oggi un disco come “Suzu”?…è andato sul Tgcom, su Sky, sul Rolling Stone, e non si è fatto vivo nessuno…quindi noi continuiamo e degli altri ci curiamo poco…

Cosa pensate del mercato discografico italiano e, in particolare, dei talent show? Avete mai pensato di parteciparvi?
No, noi facciamo musica. Quello è un altro mondo pieno di talento e delusioni atroci. In quei carrozzoni vediamo solo sofferenze latenti di ragazzi che da lì a dieci minuti saranno superati dai successori…la grande industria del denaro che rifiutiamo come concetto applicato all’arte…karaoche e show tv…un binomio infernale…

Siete al quinto album e avete suonato un centinaio di volte in tutta Italia. Quali progetti avete in cantiere?
Tanti…inannazintutto suonare Suzu il più possibile. Poi stiamo ragionando e raccogliendo varie idee che torneranno utili quando decideremo di pubblicare nuove produzioni…Non ci fermiamo mai!

Cosa vedremo e cosa ascolteremo domenica 8 aprile da Contemporary Cluster?
Si ascolterà un estratto della nostra storia fatta di amore ed antagonismo, proposta da questo presente, dal punto di vista dell’oggi, laddove il nostro successo consiste nell’esistere ancora e contro, nonostante la superficialità dilagante che tutto ha snaturando.

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Info | Elettronoir Live | Domenica 8 aprile 2018 | Contemporary Cluster, Roma
(FACE Magazine.it Official Party – ingresso gratuito)


Di Mauro Orrico
Salentino di origine, romano di adozione, è laureato in Scienze Politiche (La Sapienza) con Master in Tutela Internazionale dei Diritti Umani. Ha lavorato per Rai3 e La7d. Da 12 anni è anche organizzatore di eventi di musica elettronica e cultura indipendente. Nel 2014 ha fondato FACE Magazine.it di cui è direttore editoriale..