Marco Prato, il pr romano accusato con Manuel Foffo dell’omicidio di Luca Varani, si è suicidato la notte scorsa nel carcere di Velletri (Roma). Domani avrebbe avuto l’udienza del processo. La storia è ben nota a tutti. Il 4 marzo del 2016, i due trentenni romani hanno massacrato con coltelli e martello il 23enne Varani, dopo aver assunto un quantitativo di cocaina, alcol ed altre sostanze per un valore di almeno 1.500 euro. Foffo è stato condannato a 30 anni con il rito abbreviato mentre Prato aveva scelto il rito ordinario. Il  suo corpo è stato trovato privo di vita, con un sacchetto di plastica in testa: sarebbe morto asfissiato dal gas della bomboletta che aveva in dotazione. Il suicidio di Marco Prato è l’ultimo capitolo di una storia criminale fatta di orrori, gogne mediatiche e tanti sciacalli in cerca di visibilità.

“Varani è stato ucciso perché favorevole alla famiglia tradizionale”. Una delle ultime perle nel fiume di sciacallaggio e speculazioni che abbiamo letto e ascoltato nei giorni dell’omicidio era firmata Mario Adinolfi. Non erano ancora del tutto chiarite la dinamica e le circostanze del tremendo delitto, quando è arrivata la sentenza – rigorosamente via social – dell’allora candidato a sindaco di Roma con il partito da lui fondato, il Popolo della Famiglia. È bastato leggere sulla bacheca facebook del povero Varani affermazioni contrarie al matrimonio gay, per indurre l’ultraconservatore e fondatore del quotidiano La Croce ad emettere la sua sentenza. E c’è chi, come Vox News, ha parlato del «primo omicidio eterofobo post-Cirinnà». Sentenze rigorosamente smentite poco dopo dalla deposizione degli stessi killer: Luca Varani sarebbe caduto nella trappola mortale dopo aver accettato una proposta di incontro a base di sesso e droghe in cambio di 150 euro.

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In foto: Mario Adinolfi.

Il delitto Varani ha rappresentato una vicenda su cui in tanti hanno speculato, giudicato, sentenziato prima ancora di conoscere la realtà dei fatti. Per un like in più, o facili ascolti. Dalla Tv al web. In tanti hanno identificato l’orrendo delitto di via Igino Giordani con l’ambiente lgbt romano, con le sue notti, i suoi aperitivi. I media italici hanno scoperto l’esistenza dei chemparty, dimenticando i ben più celebri festini a base di droga e sesso dell’ex deputato Udc Cosimo Mele, sorpreso alcuni anni fa con prostitute e cocaina. C’è chi ha fornito stime improvvisate e analisi sociologiche alle telecamere di turno. Come un certo Massimo (nome di fantasia) che sul Fatto Quotidiano ha affermato: «Direi che un 40 percento degli omosessuali che hanno l’abitudine di bere e utilizzare sostanze partecipano poi ai chemparty».
L’atavica curiosità morbosa di certa stampa verso la vita delle persone lgbt ha incontrato la sete di vanità di improvvisati sociologi. Tuttologi del nulla con la Verità sempre in tasca.

In foto: il padre di Manuel Foffo ospite di Porta a Porta, su Raiuno.

Ha indignato molti la presenza del padre di Manuel Foffo, uno dei due killer a Porta a Porta. Nel salotto di Bruno Vespa, l’uomo ha definito il figlio “un ragazzo modello”. Parole scandite poche ore dopo l’omicidio, in diretta Tv. Quando il complice del figlio non aveva ancora depositato la sua versione e molti dettagli erano ancora ignoti.
In quelle ore e in quei giorni abbiamo letto di tutto. E di peggio.
Non ha perso occasione per dire la sua neanche Carlo Giovanardi: «Siamo un Paese che sulle serate eleganti di Arcore ci ha costruito processi e ha fatto cadere governi. E invece non bisogna dire nulla su queste manifestazioni estreme fatte e ripetute da quel mondo lì, cioè dai gay. Questo è il mondo che è emerso con i delitti di Varani e della professoressa Rosboch: quello degli incontri gay a base di cocaina».

Un’altra perla giornalistica sul caso Varani l’ha fornita ai suoi lettori la rivista Giallo che, andando ben oltre la privacy del diretto interessato, ha sbattuto in prima pagina le condizioni di salute di Marco Prato. “L’orrore non ha fine: Prato è sieropositivo”: un titolo che ha indignato tanti, ad iniziare da chi si batte affinché cessi lo stigma che circonda le persone con Hiv e Aids e le paure e le discriminazioni di cui ancora oggi sono vittime.

E anche questa volta, non sono stati da meno i quotidiani Libero e Il Giornale e le loro definizioni di mattanza gay. Nelle stesse ore in cui un altro delitto – quello dei due fidanzati di Pordenone – occupava le prime pagine dei giornali, ma nessuno lo connotava per l’eterosessualità dei suoi sfortunati protagonisti.

Manuel Foffo, a sinistra, e Marco Prato, i due arrestati per l'omicidio di Luca Varani
In foto: Manuel Foffo, a sinistra, e Marco Prato, a destra.

Le domande tuttavia ci apparivano scontate. Perché accostare l’uso di sostanze stupefacenti o il sesso sfrenatoabitudini diffuse e trasversali rispetto agli orientamenti sessuali – con un omicidio così efferato e, probabilmente, premeditato? «Volevamo uccidere qualcuno solo per vedere che effetto fa» ha spiegato Manuel Foffo ai magistrati.
E perché etichettare come gay una mattanza i cui responsabili sono presunti feroci assassini, indipendentemente dai loro gusti sessuali? Tra l’altro, Manuel Foffo ha anche negato di essere omosessuale. Non risulta che nei tantissimi casi di cronaca di cui sono vittime ogni giorno donne e mogli, sia specificata l’eterosessualità degli uomini o dei mariti violenti o criminali. Né risulta siano poste sotto accusa le loro abitudini e frequentazioni. Perché porre, quindi, sotto la morbosa lente di ingrandimento i club, le dark room, le notti di piacere frequentate da adulti consapevoli e consenzienti che nulla hanno a che fare con l’orrore che si è consumato quella notte?
Negare la natura criminale dei killer per cercare responsabilità altrove equivale ad assolvere gli assassini e gettare del fango su chi non lo merita. Oltre che fornire un pessimo esempio di informazione. E perdere ancora una volta una buona occasione per stare zitti.