Una casa per tutti: ad Helsinki gli homeless sono crollati del 35%, grazie al programma “Housing first”. E il risparmio per le casse statali è superiore rispetto alla spesa.

Tutto è nato dall’idea che “la casa sia un diritto umano fondamentale”. Come spiega Juha Kaakinen, che ha guidato gran parte del lavoro su Housing First in Finlandia. “Perché la disponibilità di un luogo dove vivere aumenta l’autostima e il benessere”. Così il governo di Helsinki e le amministrazioni locali puntano ad azzerare il numero di senzatetto, dando a tutti una casa. Per i più critici si tratta di una forma di assistenzialismo costoso e insostenibile. Ma i dati dimostrano il contrario.

Dare una casa a persone in estrema difficoltà, infatti, non solo accresce il benessere e la qualità della vita dell’intera società, ma implica anche risparmi complessivi importanti sui servizi sanitari di emergenza e sul sistema di giustizia penale. Così, il programma governativo – iniziato nel 2019 – ha dimostrato che il risparmio per le casse statali è superiore rispetto alla spesa. Housing first ha fatto crollare il numero degli homeless del 35% ed oggi è difficile trovare un senzatetto per strada.

Al contrario rispetto a quanto avviene in Finlandia, nel vicino Regno Unito l’aumento dei senza tetto, dal 2010 ad oggi, è stato del 134% e i clochard che muoiono per strada o in alloggi temporanei è più che raddoppiato negli ultimi cinque anni, a più di uno a settimana. Nel Regno Unito, l’età media degli homeless che muoiono, di freddo, fame o per malattie, è 43 anni, circa la metà dell’aspettativa di vita del Paese. Così anche a Londra, come nel resto del mondo, nascono progetti che puntano ad affrontare il dramma di chi non ha un alloggio.

Altre forme di aiuto si moltiplicano in tutti i paesi occidentali. Come a Medicine Hat, una cittadina canadese di 60mila abitanti che è riuscita a dare una casa a tutti i clochard, grazie ad un progetto pilota che ha l’obiettivo di trovare un alloggio permanente a chi non ha una casa entro un massimo di 10 giorni dal momento in cui ne fa richiesta.

E in Italia? Nel nostro Paese gli esempi affini a quello di Medicine Hat sono vari. Come il progetto Rolling Stone a Bergamo, il progetto Tenda a Torino, o le iniziative di Fondazione Progetto Arca a Milano, della Caritas di Agrigento (sia per migranti che per italiani) e quelle di amici di Piazza Grande a Bologna. La Federazione Italiana Organismi per le persone senza dimora (FioPsd) sottolinea l’utilità di progetti come Medicine Hat, utili a migliorare la vita di centinaia di uomini e donne, ma anche a far risparmiare le casse pubbliche: “L’inserimento di un utente in una comunità di recupero per alcolisti o tossicodipendenti – dicono dalla Federazione – viene a costare rispettivamente 125 e 85 euro al giorno; mentre il costo dell’affitto di questi appartamenti è di 25 euro al giorno cadauno”. La strada da fare è ancora tanta, ma qualcosa si muove.