Afrin era, fino a pochi giorni fa, l’enclave curda nel nord-ovest della Siria. Da settimane è sotto l’assedio delle truppe turche e dei ribelli siriani loro alleati. La città è stata occupata dai militari turchi nell’ambito dell’offensiva lanciata da Ankara a gennaio, chiamata “Ramoscello d’ulivo“. Il premier turco Erdogan ha annunciato poche ore fa la caduta: “Le unità delle Forze siriane libere, che sono sostenute delle truppe turche, hanno preso il controllo totale del centro cittadino di Afrin”.

La Turchia è accusata di armare le milizie jihadiste contro il nemico di sempre, il popolo curdo che ha ammesso la sconfitta ma promette una guerra senza fine: “La resistenza ad Afrin proseguirà fino alla liberazione di ogni parte del territorio”, ha avvertito in un comunicato l’amministrazione semi-autonoma della regione promettendo di combattere l’esercito turco e i ribelli arabo-siriani alleati.

In queste ore si consuma, intanto, il dramma dei 250mila civili che hanno abbandonato Afrin e sono senza acqua né cibo, mentre è ancora incerto il numero dei morti. Il premier turco Erdogan non si ferma e punta adesso su Manbij, l’altra città a maggioranza curda. E dopo la Siria, si teme possa essere il turno dell’Irak. Una nuova guerra all’orizzonte?

LA CONDANNA DI DAMASCO

La diplomazia americana ha tentato – senza riuscirci – di convincere Ankara che i curdi rappresentano il migliore deterrente nei confronti del sedicente Stato Islamico, come già dimostrato nella liberazione di Kobane e di altre città siriane sgombrate dal pericolo jihadista. Ma Erdogan continua nella sua propaganda anti curda che in patria non conosce opposizione, visti i tanti arresti tra i giornalisti e gli avversari politici. 
La Siria di Assad condanna quella che definisce “l’occupazione turca di Afrin e i crimini che essa vi sta commettendo” e chiede – in una nota del ministero degli Esteri di Damasco – che “le forze d’invasione si ritirino immediatamente dal territorio siriano che hanno occupato”. 

Intanto, i combattimenti proseguono anche nella Ghouta orientale (in parte controllata dai gruppi ribelli). Negli scontri tra gli insorti e le truppe del regime di Assad, sono stati centinaia i morti nelle ultime 48 ore.