Il nostro incontro con l’artista e fotografo Gianluca Panareo, autore del progetto “the_dark_side_of_Pan”.

Il mondo del Bdsm è un mondo estremamente interessante, che tocca molte corde, non solamente erotiche. Ha a che fare con la cultura, con la filosofia, l’antropologia e probabilmente pure con la religione. Ne parliamo con l’artista e fotografo Gianluca Panareo, che ha creato il progetto the_dark_side_of_Pan. Le sue opere sono state esposte in mostre internazionali come la Biennale di Lubiana 2014, la Biennale di Venezia 2015 e la Biennale del Libano 2017.

Com’è nato il tuo progetto?
Il mio è un progetto che si è formato e consolidato negli anni, senza una vera e propria nascita. Gioco con la macchina fotografica da quando avevo cinque anni e sono sempre stato attratto dal fantastico, dalle fantasie, da tutti i modi in cui la mente umana cerca di soddisfare il bisogno di qualcosa di “extra-ordinario”, di sovrannaturale, che appaghi lo spirito in tutta la sua profondità, in tutti i suoi lati, anche quelli più “oscuri”.
Si tratta di una ricerca che affronta diversi aspetti, da quello spirituale a quello sociologico e politico, approcciando a diversi media. Sono sempre stato attratto in modo particolare dalle allegorie, dal potere evocativo di un’immagine che racconta una storia di fantasia che nasce da spunti del reale, ne codifica i tratti per ergerli a simboli, ad archetipi universali aperti, in cui tutti in qualche modo riusciamo a rispecchiarci. I primi lavori su questo genere nascono nel 2009 a Milano, dove per alcuni anni ho condiviso una casa-studio con il mio compagno di allora, anche lui artista visivo. Insieme iniziammo un progetto fotografico direttamente ispirato ai temi allegorici del rinascimento e del barocco, come le vite dei santi e degli Dei ed eroi della mitologia greco-romana. Eravamo giovani e squattrinati e non potendoci permettere modelli professionisti, iniziammo quindi a cercare modelli su siti e applicazioni per incontri. Quando trovavamo un ragazzo o una ragazza che ci piacevano o che pensavamo perfetti per un ruolo che avevamo in mente, li contattavamo presentando un portfolio di nostri lavori e gli proponevamo di posare per una nostra idea. Era una struttura un po’ rigida, noi creavamo un’idea a priori, uno scenario, un set luci e il modello era semplicemente un corpo che noi inserivamo nella posa che avevamo previsto, talvolta anche pose difficili ed impegnative. Anche per questo, per convincere le persone più titubanti a posare per noi, proponevamo ai modelli un servizio fotografico personale, in cambio della posa per la nostra opera. Avendo come canali di incontro siti ed applicazioni pensati per un approccio di tipo sessuale, molto spesso mi venivano chieste delle foto di nudo o che suggerissero particolari inclinazioni e fantasie che i modelli avrebbero poi potuto usare nei propri profili. Andando avanti mi sono reso conto che queste fotografie “secondarie” erano in realtà molto più interessanti, perché erano vere e trasmettevano quella sensazione e quell’energia del vissuto che rendeva le immagini naturali e magnetiche. Non stavo più inscenando un pensiero astratto, ma stavo raccontando delle storie ed è quello che mi è sempre interessato.

© Gianluca Panareo

Storie di vita vissuta.
Storie di cui spesso gli stessi protagonisti non sono totalmente consci, perché vissute solo come fantasie e “perversioni” da sfogare e che invece contengono gran parte del nostro vissuto e della nostra interiorità. Quelle che chiamiamo “perversioni” sono un mix fantastico di segni lasciati sul subconscio, reazioni ad esperienze, traumi, contesto famigliare e sociale che molte volte nascono per controbilanciarci, portarci a un equilibrio. Possono raccontare una persona nel modo più sincero che esista, perché non possono essere mediate dalle convenzioni e dall’educazione, frantumano la maschera dietro la quale molto spesso ci celiamo anche a noi stessi. Ci mettono di fronte alla nostra vera natura. Molto spesso mi è capitato che i soggetti delle mie fotografie prendessero coscienza di determinati aspetti di questa propria interiorità durante la sessione fotografica stessa ed è stato qualcosa di straordinario. Il set fotografico si è trasformato in un palcoscenico allo stesso tempo intimo ed esposto e ha svolto quel ruolo catartico del teatro primitivo, in cui le emozioni e le dinamiche della propria intimità vengono messe in scena e affrontate di fronte a uno sguardo altrui. La fotografia è diventata poi specchio e memoria di questo avvenimento, testimonianza tangibile di qualcosa di estremamente impalpabile. Una storia di cui il protagonista prendeva ancora più coscienza e dentro la quale, forse anche a causa di questo percorso che porta alla catarsi, c’era sempre qualcosa di universale. Se esiste una funzione per l’arte credo che sia proprio questa.

© Gianluca Panareo

Nell’arte italiana il confine tra dolore, martirio ed estasi è molto sottile.
Sì, nell’arte italiana questo confine è molto sottile. Credo che siano proprio la stessa cosa, almeno per quello che riguarda l’arte ispirata e influenzata dal cristianesimo. La sofferenza dei santi è sempre una sofferenza estatica, è una sofferenza che dà un senso ulteriore e “immenso” alla vita e quindi diventa mistica. Va a riempire quel senso di vuoto e insensatezza che spesso si associa all’esistenza terrena, e la eleva a qualcosa di superiore, di magnifico. credo che la stessa cosa valga per l’eros oggi. Le religioni e le ideologie sono in una fase di disgregazione e l’erotismo è diventato sempre di più quell’universo in cui abbandonare la razionalità e la funzionalità del vivere quotidiano per lasciarsi andare a qualcosa di ultraterreno, una dimensione dominata dal gioco, dai sensi, dalla fantasia. Ci permette di entrare in contatto con quella natura interiore e ulteriore che una volta era il sacro. Credo che l’erotismo oggi sia una delle massime espressioni della spiritualità.

Come trovi i tuoi modelli?
Principalmente su siti ed App di incontri. “The_dark_side_of_Pan” è infatti il nick che uso per i profili con cui contatto o vengo contattato dalle persone con cui realizzo i miei progetti fotografici. Ho provato anche a lavorare con modelli professionisti e di agenzia, ma è una dinamica che non mi piace molto perché spesso la posa va a sostituire la spontaneità e il vero desiderio, che sono le cose più interessanti per me.
Ultimamente anche i social media sono diventati una grande fonte di contatti, anche molte persone che non si sarebbero mai sognate di posare, soprattutto per un set erotico, vedono i miei lavori e nasce un dialogo, che spesso porta a creare un progetto fotografico. Negli ultimi 2-3 anni, poi, ho lavorato come fotografo per alcune serate a tema nell’area di Bologna, dove ho avuto libero accesso con la mia macchina fotografica in un ambiente dove solitamente è vietata, potendo letteralmente spiare, col consenso dei presenti, tutte le dinamiche che avvenivano in modo naturale intorno a me. Ho poi frequentato alcuni grandi festival Bdsm come il Folsom Europe, un evento che richiama diverse migliaia di persone da tutto il mondo e vede trasformarsi per una settimana un intero isolato del quartiere Schöneberg in una vera città del Bdsm, con gente al guinzaglio o completamente ricoperta di gomma che gira per le strade e frequenta locali, ristoranti e i numerosissimi eventi creati per l’occasione, come l’annuale “Classic meets Fetish”, un concerto di musica classica eseguito da un’intera orchestra di membri della comunità fetish nelle loro varie vesti all’interno di una chiesa. Un mondo totalmente surreale e bellissimo, in cui la fantasmagoria più spinta e articolata dell’eros viene alla luce nella quotidianità più assoluta, in cui la diversità dell’erotismo viene vissuta con curiosità ed entusiasmo, generando una totale armonia tra la città e queste “strane creature” che la invadono e non le diventano mai estranee.  Forse è uno degli eventi in cui ho più difficoltà a scattare, ma solo per la quantità esagerata di stimoli meravigliosi che ci sono.

© Gianluca Panareo

Che rapporto si crea tra l’artista che fotografa e il modello?
Devo dire che è molto difficile dare una definizione chiara per il tipo di rapporto che si viene a creare in uno shooting, anche perché è una cosa che cambia molto a seconda delle persone con cui sto interagendo. Spesso ci si immagina un fotografo dominante che gestisce il modello e la scena come se fosse un vero e proprio “dominus”, ma è un tipo di approccio che si allontana molto da quello che è il focus del mio lavoro.
In questo ambito mi rifaccio molto alle mie esperienze come regista teatrale e fotografo di scena. Quello che cerco sempre di creare è un luogo stimolante, sia per la macchina fotografica, che per i modelli. Un terreno di coltura, un palcoscenico con le giuste luci e la giusta atmosfera, in cui i modelli si sentano a proprio agio e si lascino andare. Quando questo succede, io cerco di scomparire il più possibile, diventando uno spettatore silenzioso di quell’alchimia che viene a crearsi. Ovviamente non è affatto facile arrivare a una dimensione del genere, soprattutto quando a posare sono persone che non hanno mai o quasi mai posato in una situazione come questa. In questi casi cerco sempre di far rilassare le persone che ho davanti e di farmi raccontare le loro attitudini, le loro fantasie, le loro esperienze come se fossero le cose più normale del mondo e in effetti per me sono. Già solo questa tranquillità nel confronto e nel dialogo riesce ad aprire scenari impensabili. Credo che le qualità indispensabili per un fotografo siano l’ascolto e l’intuizione. Quando queste ci sono, il suo ruolo si eleva dalla sola figura tecnica per diventare una specie di “psicopompo”, di “sciamano”, anche un po’ psicologo, capace di stimolare e far aprire alcuni canali di coscienza e consapevolezza che solitamente restano chiusi, da cui scaturisce poi lo shooting come un vero e proprio rituale e processo creativo, di cui le fotografie sono la memoria finale di qualcosa di impalpabile, come una danza.

© Gianluca Panareo

Quando il dolore diventa una forma di meditazione e quando diventa autodistruzione?
Credo che la ricerca del dolore sia sempre una forma di meditazione, sia consciamente che non. Parlo sia di dolore fisico che di quello mentale, inteso come estraniarsi totalmente dalla propria zona di comfort. Comfort che spesso ci avvolge, ci spegne, ci soffoca, ovatta il contatto con la vita e col reale. Il dolore ci porta invece alla presenza, attiva la nostra percezione, aumenta la nostra sensibilità e ci rende più lucidi. Anche per questo molte forme di ascetismo ricorrono spesso al dolore come forma di meditazione, per poter lacerare il velo delle nostre abitudini e poter guardare oltre.
Nel sadomasochismo penso che avvenga lo stesso processo, perché nasce dallo stesso desiderio di guardare oltre e trovare una dimensione più lucida, un contatto con la realtà più vivida. Anche nella dimensione del piacere, che non è mai esclusivamente carnale. L’autodistruzione penso che abbia la stessa origine, la stessa dinamica, ma perde la concezione del suo fine, portando alla degenerazione di questo desiderio. Credo che la cartina tornasole per distinguere queste due dimensioni così simili sia la felicità. Quando c’è la felicità, la soddisfazione, la ricerca del dolore arriva al suo fine, che è quello di portarci a una situazione di benessere superiore. Se invece di un livello superiore di felicità, il dolore porta ad una continua e insoddisfatta ricerca che non si sazia mai, allora ci troviamo davanti all’autodistruzione, il cui meccanismo è lo stesso di tutte le dipendenze distruttive. 

Vi sono differenze culturali su come il Bdsm viene interpretato nelle diverse aree del mondo?
Nella mia esperienza ho potuto notare che esistono grossomodo tre scuole differenti riguardo al Bdsm: giapponese, latina e americano-anglosassone.
Quella giapponese è forse la più antica e vede questo tipo di sessualità proprio come una forma d’arte applicata alla vita e alla meditazione, un po’ come avviene per il rituale del thè o per la cultura del giardino Zen e del Bonsai. Fatta di codici molto complessi e precisi come lo Shibari, l’arte di legare con composizioni di nodi che avvolgono il corpo e lo portano ad assumere posizioni e tensioni che esaltino il potere erotico dell’atto in sé. Tanto è vero che spesso non si arriva a un vero e proprio atto sessuale, il piacere viene sublimato in una forma esaltatoria del controllo sulla materia e sulla natura, in questo caso umana, per arrivare a un godimento quasi più spirituale che carnale. La scuola “latina” è quella nata tipicamente nei paesi fortemente influenzati dal cattolicesimo, soprattutto Italia e Francia ed è quella più legata al dolore come strumento per arrivare al piacere. Ha in sé un forte immaginario legato al martirio e alla flagellazione tipici del sadomasochismo di cui il francese De Sade è un vero e proprio profeta. La terza “scuola” che ho potuto identificare è quella anglosassone, tipica della Germania e del Nord Europa. In cui il punto focale è la netta divisione dei ruoli tra dominante e sottomesso ed è legata ad un vero e proprio fetish per ciò che è disciplina, addestramento e protocollo. Un suo aspetto caratterizzante è la presenza della divisa, non solo militare, anche se dall’ambiente militare ha preso molti dei suoi codici. In Inghilterra, per esempio, ha preso la forma della cultura Skinhead che si è poi ampiamente diffusa anche in Germania e in Russia, mentre negli Stati Uniti ha ricevuto stimoli da culture come quelle dei bikers o dei cow boys e ha dato vita alla cultura Leather. Cultura ben rappresentata da grandi artisti americani come Tom of Finland e Robert Mapplethorpe, che ha poi avuto grande diffusione, anche solo come immaginario, in tutto il mondo. Sempre da questa scuola, in tempi relativamente più recenti, si è poi sviluppata la linea fortemente industriale del mondo Rubber e Latex.

© Gianluca Panareo

Tra le differenze sulla diffusione del Bdsm nel mondo c’è qualcosa che ti ha colpito?
Una cosa che mi ha colpito è stato constatare che una cultura Bdsm chiaramente codificata è presente appunto in Giappone, nei paesi occidentali o in quelli che hanno forti legami con esso, ma è spesso assente in zone con una storia culturale diversa. In Medio Oriente è lampante la differenza tra Israele, paese dalle tante culture, ma dal profondo legame con gli Stati Uniti e l’Europa, dove esiste una grandissima comunità Bdsm molto visibile e organizzata e altri paesi, dove se anche ci fosse, non è affatto visibile. In Libano, Iran e Tunisia vi sono embrioni di cultura Bdsm nelle comunità gay locali. Anche perché sono paesi in cui gli intellettuali e le classi borghesi conoscono bene la cultura illuministica francese e hanno da sempre scambi intellettuali con l’Occidente. Basti pensare che Pasolini è molto famoso in Iran e ha anche girato nel paese, prima della rivoluzione khomenista, una parte del “Fiore delle Mille e una Notte”.
Giappone a parte, che ha, come in molte altre cose, una visione che si è sviluppata all’interno di una storia caratterizzata da un grande e lungo isolamento dal resto del mondo, è come se il Bdsm si fosse sviluppato nelle culture direttamente influenzate dall’Illuminismo, dalla Rivoluzione Francese e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Forse non è un caso che De Sade abbia scritto le sue opere proprio in quel periodo storico. È come se la vittoria della ragione sull’istinto abbia generato un bisogno di reintrodurre nella società una forma codificata di dominio e prevaricazione tipici del nostro istinto, come a controbilanciare un raziocinio ideale che ci porterebbe a essere astratti e completamente scollegati dalla nostra natura animale. A sostegno di ciò penso al fatto che prima dell’illuminismo non si trova traccia di una cultura Bdsm codificata, forse perché questo aspetto animale dell’essere umano era parte integrante di una società in cui, anche nei suoi periodi più “illuminati” come quello classico o rinascimentale, il dominio e la prevaricazione erano all’ordine del giorno. È come se il Bdsm fosse una caratteristica tipica di paesi storicamente e culturalmente legati a questa estrema razionalizzazione del pensiero illuminista, mentre nelle culture che non hanno avuto una genesi diretta da esso si trovi un tipo di sessualità diverso, in cui la codificazione del Bdsm è ancora inglobata all’interno della società e si manifesta in forme accentuate come una forte passionalità e possessività e in cui alcune regole del “codice di onore” fanno ancora parte della vita sociale. Questo non vuol dire che queste società siano per forza violente, ma che esorcizzano la potenziale violenza della vita attraverso riti sociali o religiosi. Basti pensare ai martiri o ai flagellanti nella cultura cattolica o islamica o ai fachiri in Medio Oriente o in Iran. Nella cultura illuministica, in cui la religione ha un ruolo minore e più personale, che collettivo, si è iniziato a esorcizzare queste pulsioni attraverso la cultura Bdsm e la sessualità. Mettendo nel tempo chiari paletti perché tutto venga fatto nel rispetto reciproco.

© Gianluca Panareo

La cultura Bdsm è diffusa in Italia?
L’Italia è un’ottima cartina di tornasole dell’incontro tra la cultura illuministica e quella mediterranea, perché è una lingua di terra su cui si incontrano la cultura Nord-Europea con quella mediterranea.
Il Bdsm è ampiamente diffuso al Nord, soprattutto in Veneto e Lombardia dove vi è una grande comunità Bdsm con numerosi club e serate a tema. Nel Centro Italia il Bdsm si intreccia spesso, soprattutto in ambito etero, con lo scambismo, mentre in quello gay si fa un po’ più timido e appartato, rispecchiando un po’ la cultura papalina che ha dominato questa zona. Andando verso Sud il numero di persone ed eventi legati alla cultura Bdsm si riduce drasticamente, con qualche sporadico evento nelle città di Napoli e Catania, le città più “illuministe” del Sud. Mentre è quasi del tutto assente altrove, lasciando il posto ad incontri più passionali, travolgenti e talvolta, anche più burrascosi, che fanno eco, anche se sempre meno, ad una cultura mediterranea più “antica”. Cultura in cui in passato, al di là che si fosse cristiani o islamici, spesso si dava un’importanza eccessiva a concetti come “l’onore” e dove il dolore ha spesso fatto capolino nei rituali religiosi o sociali, ma non era codificato chiaramente nel sesso. Una cosa simile la si può riscontrare anche in Spagna e in Grecia, dove la cultura Bdsm si sta sviluppando da tempi più recenti ed è molto localizzata nelle grandi città. Ovviamente parlo per macro-concetti, per suggestioni che ho avuto e che mi sono divertito a legare in archetipi di uno sguardo di artista, legati esclusivamente alla mia esperienza e alle esperienze con cui sono entrato in contatto. È anche vero che nel mondo sempre più globalizzato stiamo assistendo a una vera e propria fusione di tutti questi elementi e anche dal punto di vista erotico, c’è una continua evoluzione che ingloba e rimescola caratteristiche diverse, sia per provenienza che per cronologia. Penso a Gengoroh Tagame, uno dei più illustri creatori di manga Bdsm, che ha in sé tutta la cultura erotica del mondo giapponese, ma che guarda molto a quella occidentale come punto di riferimento, ispirandosi, per sua stessa ammissione, a Caravaggio. Penso anche a una pratica Bdsm piuttosto nuova e che sta prendendo rapidamente piede come il “Puppy Play”, che nasce dalla pratica cane-padrone tipica del sadomaso, ma va quasi a eliminare ogni riferimento alla dominazione e alla divisone dei ruoli, generando la figura del “Alpha Dog” che veste la stessa divisa del cane-sottomesso, ma è una figura dominante, dividendo a sua volta il mondo Bdsm tra “Old School” e una nuova corrente in piena sperimentazione in mano ai “millennials” che stanno mettendo in discussione un modello legato a un contesto storico e sociale che in pochi decenni è già cambiato radicalmente. Questo sta anche alcuni conflitti all’interno delle comunità Bdsm, come spesso avviene nei cambiamenti epocali.

© Gianluca Panareo

Che significati possono celare i feticismi?
I feticismi sono un mondo affascinante quanto misterioso, come origine. Nella mia ricerca un particolare tipo di feticismo mi ha colpito molto: quello per gli oggetti, in particolare per le scarpe. Ho conosciuto molte persone con un forte feticismo non solo per le scarpe in generale, ma per una precisa marca e un preciso modello. Tanto da eccitarsi alla sola vista dell’oggetto in sé, anche senza la presenza di un corpo che lo indossi. Questa cosa mi ha molto colpito, perché va a coniugare il lato più istintivo ed animale dell’essere umano con quello più astratto ed artificiale, come provare un’incontrollabile desiderio sessuale per una Nike. A lungo mi sono chiesto come un oggetto industriale, estremamente recente abbia potuto insinuarsi nel Dna dell’erotismo.
La risposta che mi sono dato è che un oggetto, così come una parte del corpo, possa incarnare in sé un intero universo fatto di concetti, di idee, di identità. Nel caso specifico delle sneakers Nike, il modello su cui ho notato più feticismo, è quello indossato dalle sottoculture skin e scally nate alla fine degli anni ’80 nelle periferie della società industriale in degrado. Le scarpe del tipico bad-boy, un po’ rozzo, un po’ criminale e dominante, sexy e maledetto. Chi ha quel particolare tipo di feticismo lo ha soprattutto per questo tipo di immaginario, di cui la sneaker Nike è l’emblema più riconoscibile e codificato. Venerandola si venera tutto il mondo a lei legato. L’oggetto diventa quindi un vero e proprio idolo, un simulacro, una rappresentazione simbolica e materiale di qualcosa di molto più grande. Venerandola si arriva a venerare la sua essenza più totale, esattamente come avviene per le reliquie o le immagini sacre, che non sono altro che oggetti, ma che portano con loro la rappresentazione di qualcosa di “ulteriore”, a cui si aspira ad arrivare.

Cosa ti ha sorpreso di più del mondo Bdsm? Come sei riuscito a catturarlo con la macchina fotografica?
Ogni tipo di fantasia erotica mi affascina, soprattutto quelle più lontane da me e che mi aprono mondi totalmente nuovi da esplorare. Il Bdsm invece è il mondo a me più vicino, un linguaggio che fa già parte di me ed è per questo che è molto più presente nel mio lavoro. In particolare sono fortemente attratto e affascinato dal bondage e dalla costrizione corporea, che sono alla base di molte pratiche Bdsm. Non a caso la B di Bdsm sta proprio per bondage. La cosa che mi ha sempre affascinato e attratto di queste pratiche è la grande ritualità con cui avvengono, assimilabile a una vera e propria liturgia. Soprattutto i loro preparativi, come la vestizione con le costrizioni e i simboli dello scambio di potere, le legature che predispongono all’azione, il lento avvicinamento all’azione sessuale che molte volte può anche non avvenire affatto, ma che è comunque fonte di un piacere inebriante, che avvolge il corpo, la mente, i sensi. Trovo che sia una vera e propria pratica, nel senso religioso del termine, per portare il piacere a livelli altissimi, che non di rado conducono a una reale condizione di estasi. Si crea una dimensione parallela in cui le regole della quotidianità vengono ribaltate e le fantasie prendono vita, esattamente come avviene per il gioco dei bambini in cui uno scatolone può diventare veramente un castello e un albero veramente un drago.  Forse uno dei pochi giochi che sopravvivono al passaggio all’età adulta e proprio per questo e per questa sua intensità diventa, sacro.
Fotografare il Bdsm non è troppo difficile a livello tecnico, proprio perché la sua struttura e il suo ritmo sono molto affini a quelli della creazione fotografica, con i suoi tempi, i suoi respiri. Il difficile è cercare di trasmettere la sua intensità senza cadere nei cliché o nella superficialità, che rischiano di trasmetterne un’immagine spesso stereotipata e ridicola. Quando mi approccio a fotografare queste pratiche lo faccio con la massima sensibilità e rispetto, facendomi prima di tutto trasportare dall’atmosfera e dall’alchimia che si creano e poi cercando di dare giustizia a quello che mi si apre davanti, monumentalizzandolo. Esattamente come poteva fare un pittore rinascimentale nell’approcciarsi a dipingere un soggetto sacro: con fede, rispetto e la volontà di creare un’opera capace di trasmettere agli altri la meraviglia che si ha negli occhi.

© Gianluca Panareo

Che connessioni hanno i tuoi lavori artistici come Gianluca Panareo e quelli come the_dark_side_of_Pan?
Gianluca Panareo e “the_dark_side_of_Pan” sono la stessa persona, quindi le connessioni e le esperienze sono inscindibili. L’unica differenza sta nel fatto che come artista mi piace molto sperimentare tematiche e media diversi. Negli anni ho lavorato col teatro, col suono, col video, con l’immagine; su tematiche che vanno dalla ricerca sociale e antropologica, alla politica, alle rievocazioni della storia di un luogo. In questa continua evoluzione e cambio di percorso, “the_dark_side_of_Pan” è rimasto come un punto fisso, anche con le sue evoluzioni interne. “the_dark_side_of_Pan” è un tema, è un progetto che credo che esisterà sempre nel mio lavoro, anche se dovessi cambiare totalmente campo d’azione.
Perché l’erotismo è la dimensione in cui il vissuto, l’istinto e la razionalità si incontrano e sono capaci di creare qualcosa di meraviglioso, capace di raccontare un individuo e la società in cui vive da un punto di vista sincero e straordinario. Non si possono controllare il proprio erotismo o le proprie fantasie, al massimo le si può solo alimentare o meno ma saranno sempre lo specchio del nostro lato più interiore, in cui sono sedimentate la nostra storia, le nostre esperienze, il nostro rapporto con la società e le sue deformazioni. Questa sarà sempre una fonte primaria per spunti che possano raccontare la natura umana e la sua evoluzione.

Da Casanova, a de Sade, Baudelaire a Pasolini, sono molti gli intellettuali che hanno affrontando il tema dell’erotismo e i suoi lati più oscuri. Sei stato ispirato da loro?
Sicuramente l’apporto intellettuale è stato fondamentale per avere soprattutto un riscontro su pensieri e sensazioni che ho sempre provato, alcuni autori mi hanno aiutato ad avere conferme e ad approfondire le mie osservazioni e intuizioni di una ricerca sul campo. Tra quelli citati sicuramente Pasolini è stato il più influente, ma anche Jean Genet e Antonin Artaud, fino ad arrivare ad Ernesto de Martino e Gerzy Grotowski che, anche se non prettamente autori erotici, mi hanno aiutato a comprendere la complessità dell’essere umano e del suo subconscio e del suo fondamentale bisogno del rito, del magico, dell’extra-ordinario.
Uno degli artisti che mi ha fatto scoccare una vera e propria scintilla è stato poi Robert Mapplethorpe. La prima volta che ho visto i suoi lavori sono rimasto totalmente folgorato dall’eleganza con cui riusciva a riportare sulla fotografia anche le azioni più esplicite e “perverse”. Un’eleganza non solo formale, ma epica, michelangiolesca. un’eleganza che è armonia e potenza allo stesso tempo, che racconta qualcosa di immortale e universale, diventando immortale e universale a sua volta. In quelle immagini sono condensati migliaia di anni di pensieri, concetti e parole. in un click.

© Gianluca Panareo

Nell’era del virtuale e delle chat, pratiche così profondamente carnali come l’erotismo estremo ricordano alle persone l’importanza del corpo e del reale?
Quella del virtuale è una questione molto complessa e molto ambigua. Internet ha avuto un ruolo fondamentale nell’abbattimento di molti confini mentali, anche semplicemente col fornire materiali e informazioni su argomenti di cui prima era difficilissimo, se non impossibile trovare traccia. Ha avuto anche il ruolo fondamentale di poter mettere in contatto persone che condividono determinate visioni ed interessi e di dar loro modo di poterli sperimentare realmente. Questo ha generato una vera e propria rivoluzione nel modo di vivere la sessualità e l’erotismo, che ha fortemente influenzato e continua a influenzare anche altri aspetti della società. Parallelamente ha però anche prodotto molti fenomeni di virtualizzazione dell’erotismo, dovuti probabilmente ad una sovrastimolazione visiva e mentale che ha portato ad allontanarsi dall’intimità che può crearsi tra le persone. Penso alle chat e alle app che permettono di farsi letteralmente scorpacciate di partners sessuali anche in pochissimo tempo, talvolta trasformando gli incontri in un vero e proprio consumo di corpi. Oppure penso all’offerta smisurata di possibili incontri che a volte genera quella voglia di trovare un partner sempre più ideale e perfetto per i nostri desideri, portando ad una continua insoddisfazione e ricerca che può diventare irreale. Mi sono rimaste impresse le parole di un ragazzo con cui ho chiacchierato al Folsom, la grande manifestazione Bdsm di Berlino, che mi disse “sono molti anni che vengo al Folsom e devo dire che prima era meglio. Eravamo in pochi e questo in qualche modo ti forzava a interagire con chi avevi intorno. Adesso che siamo tantissimi ti aspetti sempre di trovare quello più giusto o quello più sexy, continui a cercare e a scartare e alla fine ti ritrovi a non aver combinato nulla.” Un altro fenomeno che ho potuto constatare legato al virtuale è la totale astrazione dal corpo, legata appunto alla grande quantità di eros e pornografia presente sul web e alla facilità e comodità nel consumarle, che molte volte può portare a una diffidenza dal mondo reale che risulta molto più difficile e complesso del mondo perfetto che ci possiamo creare in testa. Questo può causare un rifiuto nell’affrontare le possibili difficoltà legate a un incontro reale, preferendo un mondo incantato facilmente alimentabile dall’enorme quantità di immagini e di stimoli presenti sul web, portando a una totale astrazione. Infatti, assistiamo ad un numero crescente di casi di Hikikomori e “pornodipendenza” e anche alla nascita di un fenomeno relativamente nuovo per i rapporti umani come i fake profile e le dirty talks, in cui la corporalità e gli stessi rapporti personali vengono eliminati in favore di una stimolazione erotica totalmente virtuale.

© Gianluca Panareo

Il sadomasochismo è associato spesso a ideologie totalitarie o al potere, giocando spesso sul fatto che il dominante nella vita ha bisogno di essere dominato, in altri casi a fenomeni religiosi e al martirio, in altri ancora diventa invece una forma di espressione libertaria e democratica. Si tratta di un fenomeno estremamente complesso in cui è facile cadere in cliché. Che idea ti sei fatto a riguardo?
Proprio la rottura di questi cliché è un po’ la missione che mi pongo quando tratto il sadomasochismo nelle mie fotografie. Nelle esperienze e nei contatti che ho avuto con questo mondo ho sempre trovato persone con una grande consapevolezza. I motivi e i modi per cui si arriva a praticare queste forme di erotismo sono molteplici e cambiano da persona a persona, ma ho potuto constatare che alla base c’è sempre un processo di rielaborazione del proprio vissuto o di peculiari inclinazioni che vengono messe in gioco con l’obiettivo di creare piacere, godimento, bellezza. Nel sadomasochismo il potere diventa un gioco, con i suoi codici condivisi tra le parti. Si tratta di un’alchimia che si viene a creare ben al di sopra del bisogno fisiologico del sesso e questo comporta una grande rielaborazione dei desideri e degli istinti. In tutte le coppie che ho conosciuto in questo ambito ho sempre trovato una grande complicità, sincerità e condivisione totale. Un grande equilibrio e anche una grande dolcezza, che stanno alla base del confidarsi e del vivere le proprie fantasie più intime con l’altro. Questo permette di creare una dimensione in cui le regole della vita quotidiana e della stessa società possono essere completamente stravolte o anche totalmente cancellate, mettendosi nelle mani dell’altro o assumendone totalmente il controllo
e per arrivare a tanto occorre una sensibilità estrema.

gianlucapanareo.com/thedarksideofpan


Di Luca Fortis
Giornalista professionista, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano. Un pizzico di sangue iraniano e una grande passione per l’Africa e il Medioriente. Specializzato in reportage dal Medio Oriente e dal Mediterraneo, dal 2017 vive a Napoli dove si occupa di cultura e quartieri popolari e periferici.