Da Laterza a Ginosa, da Massafra a Palagianello, il nostro viaggio tra i 14 comuni tarantini del Parco della Terra delle Gravine, alla scoperta dei Canyon di Puglia.

Di Alessandra Sassanelli

Canyon mediterranei, architetture nascoste, vertigini di stupore, storie da riscoprire: è la terra delle Gravine, un patrimonio pugliese ancora troppo nascosto, ma forse proprio per questo affascinante. Qui la storia è stata scritta tra le rocce, qui l’uomo ha sviluppato un rapporto tellurico senza eguali, qui la differenza tra uomo e natura non esiste, perché fusi in un perfetto equilibrio dinamico. Ciò che si fa lungo l’arco ionico è un viaggio all’interno di paesaggi modellati dall’azione erosiva dell’acqua e del vento; è un percorso indietro nel tempo alla scoperta delle civiltà che si svilupparono tra le rocce, dando vita a complessi sistemi urbanistici: abitazioni e luoghi di culto formano un tutt’uno con il paesaggio circostante, regalando un viaggio immersivo alla ricerca di inestimabili tesori nascosti.

Il Parco della Terra delle Gravine comprende 14 comuni della Provincia di Taranto, per un totale di 28mila ettari: Castellaneta, Crispiano, Ginosa, Grottaglie, Laterza, Martina Franca, Massafra, Montemesola, Mottola, Palagianello, Palagiano, S. Marzano di S. Giuseppe, Statte e Villa Castelli.

Foto © parcogravine.com

Laterza

Seguendo un itinerario che va da nord a sud del territorio ionico, è Laterza a godere di fama internazionale per essere il più grande Canyon d’Europa: duecento metri di profondità e dodici chilometri di lunghezza, sorge sull’orlo di una gravina oggi tutelata da un’oasi LIPU. Spigoli, curve e linee continue sono le parole chiave di uno scenario spettacolare che dà quasi l’impressione di essere in un altro continente. Qui la natura non è la sola protagonista del luogo, ma anche l’uomo vi ha lasciato il suo segno: abitata sin dai tempi più remoti, come attestano molteplici rinvenimenti archeologici nella zona della necropoli, le pareti in roccia calcarea della gravina sono caratterizzate dalla presenza di numerosissime grotte, anfratti dove sacro e profano si intrecciano in meravigliosi luoghi da scoprire.

Gravina di Laterza. Foto © Vincenzo Pioggia; Pietro Amendolara

Lungo il bordo orientale della frattura, quasi fosse sospesa sul profondo burrone, c’è la Chiesa di San Vito martire, antico patrono di Laterza, una meraviglia che ha conservato intatti quasi tutti i suoi affreschi. Attraverso una facciata realizzata in conci di tufo, vi si accede all’interno dove si apre un ambiente diviso in due parti da tre archi, il primo semi-ipogeo, il secondo interamente scavato nella roccia. Sull’altare è presente una nicchia al cui interno è possibile ammirare un affresco dedicato al santo patrono, mentre, lungo le pareti laterali, sono rappresentati i Santi Medici.
Fino a qualche anno fa vi si accedeva attraverso una botola, ingresso che la rendeva un’affasciante attrazione per chi ama esperienze uniche, oggi, invece, la Chiesa di San Giorgio è visitabile dal suo accesso originario perché svuotata dai detriti che ne impedivano un regolare ingresso. La cripta è costituita da un unico ambiente rettangolare, decorato sulle pareti da tracce di antichi affreschi bizantini raffiguranti San Giorgio in abiti medievali e un dittico di Madonna col bambino. Recentemente è stato anche rinvenuto un affresco nella calotta absidale, raffigurante il Cristo Pantocratore al centro, la Madonna e San Giovanni Battista ai lati.
Un ingresso non meno suggestivo è quello che conduce alla Chiesa di Cristo giudice: una porta aperta sul fianco di una parete rocciosa porta ad un orto nascosto da cui si accede al luogo sacro; pianta rettangolare a due navate e un grande pilastro centrale da cui partono due archi ne costituisce l’interno. L’unica abside riporta un antico e meraviglioso affresco raffigurante anch’esso una Deesis trecentesca con Cristo Pantocrator, la Vergine e San Giovanni Battista.
Questa imponente frattura della terra che quasi incute timore al suo sguardo, quindi, serba in sé dei meravigliosi tesori nascosti, a riprova che la bellezza non risiede soltanto in superficie, ma talvolta è necessario scavare nel profondo per coglierne la vera essenza.

Ginosa

Il fascino di un luogo senza tempo lo si ritrova procedendo verso Ginosa, antica colonia romana: oltre settanta case-grotte e chiese rupestri distribuite su cinque differenti livelli per uno scenario unico, fissato nel tempo. Il suo centro urbano moderno manifesta chiaramente la continuità tra passato e presente perché inglobato dai due villaggi rupestri del Casale e di Rivolta, che lo chiudono a ferro di cavallo. Ad oggi sono ancora visibili e percorribili le scalinate che un tempo mettevano in collegamento i diversi livelli terrazzati, spazi che inevitabilmente risvegliano l’immaginazione degli antichi momenti di vita quotidiana.

Castello di Ginosa; quartiere Rivolta. Foto © Vostok; Pietro Amendolara

A catturare l’intera scena però, è la Chiesa Madre o Matrice, costruita ai piedi della gravina attorno alla metà del Cinquecento e oggi simbolo della piena devozione dei ginosini alla Vergine del Rosario, patrona del paese dal 1765. La sua facciata in tufo liscio e bianco, in pieno stile pugliese, ospita un grande affresco quadrato raffigurante San Martino di Tours che divide il suo mantello con un povero; più in alto, un grande rosone tondo ne filtra la luce all’interno. La Chiesa di Santa Sofia invece, fu scavata nel ‘600 e presenta affreschi sul presbiterio. Dal sacro al profano, è d’obbligo la sosta al castello normanno di Federico il Guiscardo posto su una rupe fra Villaggio di Rivolta e Rione Casale; costruito attorno all’anno mille come fortezza per difendere il territorio dai saraceni, divenne poi attorno al 1400 una residenza baronale. Tuttavia, la vera essenza della vita della gravina la si coglie in quei luoghi fulcro delle attività quotidiane essenziali: esemplare il frantoio ipogeo, una grande vasca per la macina delle olive con le ruote ancora in pietra ancorate a un bastone e mosse fisicamente da un traino animale. Intorno sono rimasti i torchi, i tini, le botti e le vasche dove, in seguito, veniva versato l’olio per la decantazione. Insomma, uno splendore arrestato dal tempo, a tratti malinconico per la sua desolazione, ma senza dubbi uno scenario dalla bellezza pittorica indescrivibile. Non resta che immaginare quanta vitalità scorresse un tempo tra quelle rocce per avere una visione complessiva di incanto.


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Castellaneta

Collocata sull’orlo della gravina quasi fosse in procinto di essere ingerita dalle viscere profonde della terra, è Castellaneta, habitat rupestre che raggiunse la sua massima espansione attorno al IX secolo, in epoca bizantina. La zona oggi è poco valorizzata, ma meritano ugualmente visita le tracce, soprattutto pittoriche, dell’antica civiltà. Proprio sul ciglio del burrone, sorge la Chiesa di Santa Maria del pesco, dal latino “piscus” che vuol dire rupe, per la sua posizione a ridosso dello spaccato; al suo interno è stato trovato un affresco risalente al 1200 rappresentante Madonna col bambino. Ancora, nella gravina di Coriglione, la chiesa di Padre Eterno, una cripta ipogea a tre navate sulle cui pareti sono presenti affreschi che attestano l’influenza bizantina e raffiguranti Il Cristo tra la Vergine, San Giovanni ed altri santi, databili al XIV secolo.

Castellaneta; insediamento rupestre di Santo Stefano. Foto © Vostok; Giuliano Clemente.

Databili al medesimo periodo, gli affreschi rinvenuti nella Cripta di Santo Stefano, situata nell’omonima gravina e ritraenti scene dedicate a Santo Stefano e San Nicola. Tra una fitta selva selvaggia lo spaccato preserva anche la Cripta di San Michele Arcangelo, con affreschi più recenti, di XI e XII secolo raffiguranti San Michele Arcangelo, una Madonna con il bambino e San Giovanni Battista. Nella grotta sono stati rinvenuti anche numerosi simboli iconografici religiosi e animali.

Palagianello

Continuando a percorrere l’arco ionico, a pochi passi dal centro abitato odierno, si insedia l’antico villaggio rupestre di Palagianello; anche qui un complesso sistema di case e grotte ipogee sono immerse nella natura rigogliosa e selvaggia della gravina. Situato a Nord dell’omonimo centro urbano attuale, la linea storica che intercorre tra le due cittadine è continua, perché anche l’attuale Palagianello presenta case-grotte e chiese rupestri dislocate su più livelli terrazzati intercomunicanti tra loro.
I turisti possono visitare la Chiesa di San Girolamo situata nella zona più concentrata dell’antico villaggio, con base trapezoidale; al suo interno presenta cinque nicchie, di cui la centrale molto profonda e con due altari. Diversi sono gli affreschi trecenteschi ritraenti un Santo Eremita, un Santo anonimo, un Santo Vescovo e una Vergine col Bambino. Tra le più suggestive, la Chiesa di Sant’Andrea di epoca altomedievale e ampliata in età bizantina, contiene tracce di affreschi realizzati tra il XII e XVI secolo; della stessa epoca la Chiesa di San Nicola con interessanti pareti affrescate, tra cui una Deesis di XII – XIII secolo e la Chiesa Anonima, una delle più antiche di Palagianello.

Palagianello. Foto © Vostok

A dominare lo scenario di Palagianello è il Castello Stella-Caracciolo, edificato tra XVI e XVIII secolo sul punto più alto della gravina. La via Antico Santuario collega il Castello alla Chiesa della Madonna delle Grazie di XVII secolo: quasi completamente distrutta nel 1885 per calamità naturale, si salvò solo una parte della Cripta, ma successivamente ricostruita. Scavata in parte nella roccia e per il resto costruita in muratura di tufo calcareo, il suo aspetto regala una visita unica e suggestiva.

Mottola

Le “mirabili grotte di Dio”: così è stato definito il patrimonio rupestre dei villaggi di Petruscio e Casalrotto a Mottola, un insieme di case grotte e chiese rupestri dal fascino mistico, abitate sin dal Medioevo.
Sorta su un’antica via medioevale che si collega all’Appia Antica, è la Chiesa di San Nicola, un edificio che desta stupore per grandezza e decori subito dopo averne varcato la soglia. D’altronde, la bellezza delle chiese rupestri è proprio questa, il loro essere un esempio di architettura di sottrazione che regala meraviglie all’interno. Suddivisa in tre navate, le sedute dei fedeli sono ricavate dalla stessa roccia parietale; tuttavia, ciò che desta maggior stupore sono i suoi affreschi: oltre alla raffigurazione di San Nicola e di molti altri santi cari alla tradizione occidentale e orientale, numerosi quelli ritraenti figure femminili: Santa Lucia, Santa Pelagia e la Madonna con Bambino. Tutte emanano un certo sentimento di profonda e ineffabile spiritualità, tanto da conferire alla Chiesa la nomina di Cappella Sistina delle chiese rupestri.

Mottola, Casalrotto; Cripta di San Nicola. Foto © Vostok; Carlos Solito

Unica ed insuperabile per la sua architettura è la Chiesa di Sant’Angelo a due piani ipogei, un unicum nella tradizione rupestre meridionale, che conta numerosi esempi in Cappadocia e, più in generale, in tutto il mondo bizantino. L’ipogeo superiore conserva tantissimi affreschi, perlopiù del XIII e XIV secolo, ma non in buone condizioni; la parte sottostante, invece, conserva una serie di tombe che lasciano immaginare un’originaria funzione funeraria.
Un bellissimo affresco del Cristo Pantocrator è celato all’interno della Chiesa di San Gregorio, probabilmente risalente al IX e X secolo, rappresentato a mezzo busto nella calotta centrale dell’abside.

Massafra

A chiudere il patrimonio rupestre dell’arco ionico è Massafra, centro che si erge sulle due sponde della Gravina di S. Marco che ne divide in due l’antico centro; le stesse sono congiunte dal Ponte Vecchio e dal Ponte Nuovo. I primi abitanti vi si insediarono in epoca medioevale, spostandosi poi dalle numerose caverne verso l’attuale paese, lasciando gli spazi ai monaci basiliani che ne crearono le spettacolari cripte decorate da splendidi affreschi d’ispirazione bizantina. Lungo l’omonima gravina si cela la Cripta di San Marco: scavata nella roccia probabilmente attorno al IV secolo, si divide in tre navate e i visitatori vengono accolti da un’effigie del Santo affrescata sulle pareti.

Massafra, Chiesa della Candelora. Foto © Roberto Rocca

Famosa per i suoi dipinti parietali è la Cripta della Candelora; risalente alla fine del XII secolo e localizzata sulla parte orientale della Gravina, è una delle cripte più raffinate della scuola bizantina, sebbene una sua parziale demolizione possa solo farci immaginare la sua bellezza originaria. Negli anni ’80 infatti, ne fu demolita l’intera facciata per ampliare un giardino, compromettendone la visibilità. Il suo nome deriva da un’antica usanza popolare che chiamava “Candelora” la festa cristiana che celebra la Presentazione di Gesù al Tempio e la purificazione della Vergine Maria, festa che ricorre quaranta giorni dopo Natale. La Presentazione al tempio di Gesù è affrescata all’interno della chiesa stessa: la Vergine presenta il Cristo Bambino a San Simeone come offerta per la salvezza dell’umanità. Nella cripta è presente un’altra scena, tanto importante quanto rara, che si ricollega alla precedente: ipotetica prefigurazione della Passione di Cristo, La Vergine guarda il Bambino mentre gli stringe la mano e il Bambino guarda la Madre reggendo con la mano sinistra un paniere con delle uova. Questa raffigurazione appare quasi identica nella cattedrale di Prizren, in Serbia, in un affresco risalente al 1230 circa, in cui il bambino porge alla Madre un cesto con un’iscrizione che cita “krimitiel”, cioè “nutrimento”; qui Cristo è rappresentato come nutrimento spirituale, in ricordo del suo sacrificio per la salvezza dell’umanità. Una ripida scalinata esterna invece, conduce ad un’oasi nascosta tra la natura selvaggia e rigogliosa, dove si cela una grotta con numerose sepolture.

La bellezza della vegetazione e il trionfo della natura trovano massima espressione nel Villaggio di Santa Marina, situato nella parte sottostante il Ponte Vecchio. Abitato dall’VIII sec d. C. sino alla fine del 1700, questo tratto della Gravina è stato anche denominato il “Paradiso di Massafra”, per la perfetta fusione tra vita quotidiana e vita spirituale.

Insomma, un percorso che conduce nel cuore più profondo del territorio tarantino, un viaggio alla scoperta di vere e proprie miniere d’oro della Puglia che alla sola vista regalano sensazioni uniche, emozioni differenti, lasciando viaggiare la mente alla scoperta di un passato molto lontano.

Terra delle Gravine: cosa vedere

Laterza: il più grande canyon d’Europa; Chiesa di San Vito martire; Chiesa di San Giorgio; Chiesa di Cristo giudice.
Ginosa: villaggi rupestri del Casale e di Rivolta; Chiesa Madre o Matrice; Chiesa di Santa Sofia; Castello normanno di Federico il Guiscardo.
Castellaneta: Chiesa di Santa Maria del pesco; Chiesa di Padre Eterno nella gravina di Coriglione; Cripta di Santo Stefano; Cripta di San Michele Arcangelo.
Palagianello: Castello Stella-Caracciolo; Chiesa di San Girolamo; Chiesa di Sant’Andrea; Chiesa di San Nicola; Chiesa Anonima; Chiesa della Madonna delle Grazie.
Mottola: villaggi di Petruscio e Casalrotto; Chiesa di San Nicola; Chiesa di Sant’Angelo; Chiesa di San Gregorio.
Massafra: Gravina e Cripta di San Marco.

Testo di Alessandra Sassanelli

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