Quando le parole diventano parte integrante di un’opera d’arte. La nostra intervista all’artista Mariangela Levita.

Il significato della parola e il suo senso visivo in un’opera d’arte non è mai solo fine a se stesso, fa parte di un’identità più ampia. Dialoga in un contesto dell’immagine diventando un tutt’uno, da cui non può essere assolutamente separato.
La parola diviene emblematica nel dialogo con lo spazio e il paesaggio in cui è immersa. Per comprendere meglio il rapporto della parola nell’arte, ne parliamo con l’artista Mariangela Levita che attraverso alcune delle sue opere site specific in cui la parola dialoga con la pittura e altri elementi, ci porterà a comprendere come la parola, unita al suo universo dell’immagine, diventa opera unica.

Levita nasce ad Aversa nel 1972, vive e lavora tra Napoli e Londra. Dal 2021 ha aperto una casa studio nel centro storico di Aversa. L’artista ha esposto in numerosi musei e gallerie in Italia e all’estero tra cui: Museo PECCI, Prato; Museo MADRE, Napoli; SAM Select, Colonia; GAM, Torino; Castello Di Rivalta, Torino; Palazzo della Permanente, Milano; Spazio Borgogno, Milano; Galleria Civica Comunale, Monfalcone; Raucci/Santamaria Gallery, Napoli; Voice Gallery, Marrakech; FAMA Gallery, Verona. Ha realizzato diverse opere pubbliche permanenti tra cui: Uno Sguardo Sospeso, Padiglione Palermo, Ospedale A. Cardarelli, Napoli 2007; Self-Definition linea 6 stazione metro Mergellina, Napoli 2008; Geometrical Sequence In Colour, Ponte Don Bosco, Napoli 2010; Flag Down, Casa dei Cristallini, Napoli 2012; WeTransfer / Solaris, Byblos Art Hotel Villa Amistà, Verona 2014 / 2015. Dal 2014, la sua opera site specific “Extra – Terrestre” per il progetto “Sette Opere per la Misericordia in dialogo con Caravaggio” è presente nella collezione permanente nella Pinacoteca del Pio Monte della Misericordia di Napoli.

Mi parli dell’opera “Discorso libero Indiretto”?
È un’opera site specific concepita nel 2006 per la mostra Wonder Woman, a cura di R. Caragliano e P. Di Maggio, pensata per gli spazi della Città della Scienza di Napoli. L’opera riflette e interpreta la crisi della società nella nostra esistenza, mettendo in luce come i contesti a cui l’individuo è legato nella società, arrivino a essere effimeri e privi di significato di fronte all’affermazione del niente.

Discorso libero Indiretto. Foto: Luciano Romano

L’installazione è integrata nello spazio architettonico e si dispiega su un’ampia parete con al suo centro un varco che scandisce lo spazio di intervento, in parte wall-painting, in parte wall-paper.
Nel wall-painting le frasi recitano: “Niente. Come il vostro paradiso: niente. Come i vostri idoli: niente. Come i vostri capi politici: niente. Come i vostri eroi: niente. Come i vostri artisti: niente. Come le vostre religioni: niente”.
Nel wall-paper invece l’illustrazione di mani dall’indice puntato e poste a indicarsi tra di loro fino a far perdere un filo conduttore di indicazione, restituendo in immagine il senso del niente.
Il niente diventa centrale. A testimonianza di come i contesti enunciati arrivino a essere vuoti, perché alla prima crisi diventano evanescenti, non rimane appunto niente.
Il significato intrinseco dell’opera è nell’arte che interpreta la crisi.
La crisi è qui dichiarata con l’affermazione verbale della negazione del niente in un discorso visivo libero e indiretto. La verbalizzazione e il lessico chiariscono una visione.

Mi racconti “Keep it dark”?
“Keep it dark” è un’installazione pittorica site specific creata nel 2004 per la mostra “Incursioni Vesuviane” in “Utopia Station”, a cura di G. Del Vecchio e F. Bonami, allestita negli spazi del Padiglione America Latina, Mostra d’Oltremare, Napoli. I ritratti di un uomo e una donna sono rappresentati e iconizzati: l’uomo è Hugo Ball e la donna Emmy Hennings, compagni di vita, protagonisti e precursori dell’era avanguardistica e modernista dell’arte del ventesimo secolo e fondatori del Cabaret Voltaire. Da sempre considerato universalmente la culla del Dadaismo movimento di rottura e rinnovamento delle logiche artistiche e accademiche.
Ho scelto di rappresentare e riprodurre entrambi i soggetti riprendendoli dal manifesto di apertura della galleria Dada, (Zurigo 1917) ritratti da Marcel Janco.

Keep it Dark. Foto: Marcello Simeone

Entrambi i ritratti sono dipinti su due tele di grande dimensione, l’ingrandimento dall’immagine originaria amplifica il concetto di icona, il segno si sgrana e si frammenta ma conserva la costruzione linguistica tipica di quegli anni.
La scelta del bianco e nero non concede virtuosismi pittorici alle due immagini in modo da renderle scarne, con un forte carattere grafico.

I due ritratti sono parte dell’installazione in cui tre elementi formalmente diversi, ma complementari gli uni agli altri per contesto e narrazione, si dispongono in progressione sulla stessa parete; essi sono preceduti dalla scritta “KEEP IT DARK “, da cui prende il titolo l’intera installazione e da sette forme in quadrato che sono la rappresentazione grafica di un antico gioco cinese “Tangram” da cui possiamo ricavare infinite e molteplici altre forme. È già di per sé una possibilità dadaista.
“Keep it dark”, ovvero mantieni il segreto, essere attenti a nascondere un lato più profondo dell’esistenza. La frase “Keep it dark “ è posta come chiave per raggiungere livelli di lettura più profondi, che non si rivelano a chiunque.
L’intera installazione indaga i contenuti linguistico formali del modernismo, dove definizione e significato sono essenza nella scritta “keep it dark” come nelle infinite possibilità di forme del tangram e nelle figure di Hugo Ball e Emmy Hennings.

Hai realizzato in Colombia nel 2016 “God Print Money Please!”.
God print money please!”, ovvero “Dio stampa denaro per favore!” nasce durante una mia permanenza in Colombia. È un intervento pensato per gli spazi di affissione pubblicitaria della città di San Pelayo, Colombia.
Nello stato colombiano le affissioni sono suddivise tra quelle commerciali e quelle politiche. Ho scelto di collocare il mio intervento tra quelle politiche, in quanto il messaggio “God Print Money Please!” volevo avesse un fine sociale e quindi politico. Grazie al supporto del mio compagno di viaggio, Lorenzo Xiques, che ha curato il rapporto con le autorità locali, ho ottenuto il consenso per l’affissione temporanea e così ho potuto raccontare, a chi guardava l’affissione, la mia visione della situazione socio-politica del paese.

God Print Money Please! Foto: Lorenzo Xiques

“God Print Money Please!” nasce da una riflessione sul rapporto che hanno i locali con la religione e con il denaro.
Il legame con la religione è fortissimo e il Paese ha enormi differenze socio economiche. Mi aveva colpito come le cartellonistiche pubblicitarie del territorio erano quasi sempre dedicate alla promozione di prodotti legati allo svago, alla festa, ma allo stesso tempo, lo stile di vita propagandato dagli spot necessita denaro, proprio quei soldi che spesso mancano.
La riflessione nasce quindi da questa compresenza tra una fortissima religiosità e una continua necessità di denaro per poter accedere ai beni che il mercato promuove in una società dalle disparità economiche molto profonde.
Da qui, God Print Money Please! si è fatta visione, immagine e messaggio in me. Tanto da fare richiesta alle autorità locali per un’affissione su uno spazio riservato alla propaganda politica, che avevo individuato e che giaceva accanto a quello del famoso rum de Menighin, in modo da completare il concetto e condividere in modo ancora più profondo con le persone del posto il suo significato. Lasciando che l’immagine fosse vista e colpisse l’imaginario degli automobilisti in transito dato che quella strada è fondamentale per gli spostamenti nella regione.
L’opera è una sintesi di quelle contraddizioni del sistema. Dove la parola non è al servizio di uno slogan sotto forma di scritta, ma disegna una partitura tipografica conseguenziale, lettera dopo lettera. Creando un insieme visivo privo di una lettura usuale, rafforzando la visione di esso attraverso i due colori posti a forte contrasto, restituendo una percezione visiva che cattura e separa gli elementi dal contesto stesso.
In “God Print Money Please!” la parola diviene immagine per un unico significato con il tutto circostante. Questo insieme porta il fruitore a rintracciarne i motivi fino ad individuarne la riflessione.

Parlami di “WHAT DO YOU DO”.
Si tratta di un wall painting realizzato alla Galleria civica comunale di Monfalcone nel 2003 per la mostra Imago, curata da A. Bruciati. Per questo wall painting ho lavorato unendo due forme linguistiche della comunicazione, una d’immagine e l’altra di testo.

Una riflessione visiva e un errore verbale convivono su una superficie bidimensionale in uno spazio fisico deputato all’osservazione.

WHAT DO YOU DO. Foto: Marcello Simeone

La scritta ”What do you do” è stata epurata dal punto interrogativo, questa contraddittoria affermazione associata alla mano armata di Roy Lichetestein (Pistol) è ingrandita e posta in orizzontale rispetto al suo verso originale, come un paesaggio da sinistra verso destra, evocando un episodio visivo ma allo stesso tempo celebrale ed emotivo.
Il senso dell’unione tra questa immagine iconica dell’arte e la frase senza punto interrogativo, vuole rappresentare la rapidità in cui alcuni accadimenti contemporanei avvengono. La rapidità è tale che non vi è tempo per accorgersene e porsi domande. Ecco perché nella frase “What do you do” sparisce il punto interrogativo. L’immagine della pistola puntata addosso, in questo caso, non sta a significare il gesto testuale di sparare, ma semplicemente che un avvenimento storico e sociale accade talmente velocemente che non vi è il tempo per rendersene minimamente conto. Al massimo, la società si potrà interrogare a posteriori su quello che è accaduto.

Nel progetto “Attraverso di te” hai collaborato con il poeta Roberto Lumuli Gaudioso.
“Attraverso di Te” è stato un percorso in cui la parola ha avuto due spazi diversi, legati all’incontro del mio campo artistico con quello del poeta Roberto Lumuli Gaudioso. Il progetto “Attraverso di te” si è realizzato in un quaderno di lavoro, con testi di Angelo Trimarco e Mimmo Grasso (ed.Giannini 2016), in un appartamento abbandonato nel centro di Napoli e in un video realizzato da Ivan Specchio con musiche di Domenico Crisci.

Attraverso di te. Foto: Luciano Romano

L’opera “Attraverso di Te” è in continua fase progettuale, avendo un carattere fluido si muove tra diverse lingue e arti. È un dialogo tra le poesie multilingue (italiano, swahili, spagnolo, napoletano e tedesco) e il mio lavoro artistico. Il lavoro nasce da un lungo dialogo con Roberto, questo ha portato a una comunione davvero forte sia in fase di ricerca artistica sia in fase progettuale. Se da una parte il nostro lavoro legato ai codici può apparire astratto in realtà è fortemente materico, non solo per i temi della poesia e i miei artwork (la preponderanza del colore, gli elementi del site specific come la sabbia nera, il sale e la pietra) ma è materico anche nelle sue premesse. Non a caso la prima poesia del nostro quaderno di lavoro sintetizza questo: “il mio corpo traduce/sentieri e fave di luce”.
Uno degli elementi importanti della nostra riflessione, per esempio, è stato il khanga swahili che mi ha portato Roberto dalla Tanzania. Un tessuto colorato delimitato da una cornice nera di tessuto, cornice che ritroviamo al centro della nostra opera con la raffigurazione del mio “The end”, un nucleo liquido su opera di Félix González-Torres: Untitle (the end), 1990). La particolarità del khanga, oltre alle sue trame colorate, è che ha sempre una frase stampata che può essere un proverbio, una frase religiosa o anche politica. Questo tessuto viene indossato dalle donne e ha diversi usi ed è sempre un modo di comunicare col mondo circostante con le parole. La scelta di indossare un khanga con una frase particolare può non essere neutra, si potrebbe sceglierne uno per dare un messaggio ai vicini. Con Roberto abbiamo selezionato i nostri khanga non in modo ingenuo, coscienti delle frasi e del pattern grafico. Ho quindi deciso di ripiegare i tessuti nascondendo le frasi, celando e custodendo la parola, cercando con la poesia di Roberto di far scaturire in modo implicito dai colori e dalle trame il senso. Questo è quello che hanno visto i nostri ospiti durante il site-specific, in cui gruppi di quattro persone attraversavano l’appartamento abbandonato. Entrando, Roberto iniziava a recitare le sue poesie, poi gli ospiti attraversavano silenziosamente tutta l’opera ascoltando la poesia.

Per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci hai creato l’opera site specific “TUTTO. Leonardo”.
“TUTTO. Leonardo” è un’installazione site specific a cura di Adriana Rispoli, concepita per l’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma con l’intento di celebrare in chiave contemporanea il genio sconfinato di Leonardo da Vinci, a 500 anni dalla sua morte.

Partendo dal riconoscimento della genialità e poliedricità di due maestri della storia italiana e mondiale, da una parte Leonardo da Vinci e dall’altra Gio Ponti, che ha progettato l’edificio che ospita l’Istituto di Cultura Italiano di Stoccolma, ho trasfigurato i loro precetti relativi all’uso del colore e della luce in una sintesi visiva che coinvolge sia la facciata dello storico edificio che media trasversali quali la musica e il video.

TUTTO. Leonardo. Istituto Italiano di Cultura “Carlo Maurilio Lerici” – Gio Ponti. Foto: Federico Covre

Ho trasformato le oltre cento finestre iconiche della facciata dell’edificio in “schermi di colore” facendo proprio il principio leonardesco per cui arte e scienza sono un tutt’uno. Utilizzando i 6 colori semplici di Leonardo: “il bianco metteremo per la luce senza la quale nissun colore veder si può, ed il giallo per la terra, il verde per l’acqua, l’azzurro per l’aria, ed il rosso per il fuoco, ed il nero per le tenebre”.

“TUTTO. Leonardo” è una composizione ritmica declinata al dialogo dei colori nell’insieme, ogni singola finestra funge da visione e filtro monocromatico sullo spazio circostante esterno e quello interno del palazzo, progettato da Gio Ponti.

La parola in questo caso è presente ma declinata in altra forma.

mariangelalevita.com/pb7.html

Si tratta di una composizione digitale, un loop audio video che attraverso l’utilizzo di un alfabeto di colori, come uno spartito invisibile, traduce in percezioni visive l’assioma leonardesco della sorellanza delle arti – “La pittura una poesia muta, la poesia una pittura cieca, la musica la rappresentazione delle cose invisibili” -, completata da una composizione techno del musicista Domenico Crisci.
Una composizione lineare, minimale, modulare, astratta, vera trasposizione di scrittura muta e visiva ottenuta attraverso l’utilizzo dei colori esistenti nell’alfabeto colore dalla A alla Z.
Da questo alfabeto ho estrapolato i singoli colori, scegliendoli in funzione alla loro lettera iniziale, in corrispondenza con le lettere che compongono le parole. Per esempio, A per arancione.

Quest’estate hai vinto la prima edizione di ALA Art Prize, premio lanciato da ALA for Art, progetto promosso da ALA, azienda con sede a Napoli e leader nel mondo della logistica avanzata e nella distribuzione di componenti meccanici di precisione e minuterie per il mercato aerospaziale e aeronautico. Mi racconti la tua opera?
“UP” nasce da una profonda riflessione, da una visione avuta pensando alla storia di ALA e alla sua volontà di creare un percorso d’arte contemporanea nei suoi uffici della Mostra d’Oltremare. L’opera è composta da 34 elementi/tele che formano la parola Up. Ogni singola tela funge da monocromo nella parte piana attraverso sedici colori differenti, mentre ogni lato è scandito dal bianco e nero.

UP. Foto: Amedeo Benestante

“Up” è un ponte, una connessione tra percezione e pensiero, vissuta nel riflettere sull’esigenza di creare un’opera site specific che diventasse una componente, quasi necessaria, in rapporto con la storia dell’azienda. Up è anche un invito a solcare i cieli, in questi tempi così complessi, sempre a testa alta e con ottimismo. 

UP è sintesi, densità, essenziale nella doppia accezione di essenza, metafisica, indispensabile e fondamentale. Abbiamo bisogno di UP, di messaggi di risalita, come un invito a tenere in alto lo sguardo e quindi l’umore, lo spirito. I colori racchiudono luce, un caleidoscopio di possibilità infinite, partizioni cromatiche su cui appoggiare lo sguardo, la visione, la crescita. UP ha concettualmente e formalmente lo scopo, attraverso linea, forma e colore, di creare accordo tra architettura storica e linguaggio visivo pittorico, restituendo una nuova visione.
Qui la pittura giunge come frequenza e vibrazione in ogni suo spazio e colore, ideando un inedito display.
L’opera è stata selezionata dalla giuria composta da Lorenzo Benedetti, curatore al Kunstmuseum, St Gallen, Eugenio Viola, Chief Curator al MAMBO – Museo de Arte Moderno de Bogotà e curatore del Padiglione Italia alla prossima Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia e Alessia Volpe, curatrice e ricercatrice indipendente, tra oltre cento proposte arrivate da artisti attivi sul territorio campano.

Ritorna ricorrente la parola mood nei tuoi profili social. Mi racconti il significato che dai a Mood Control?
Ecco hai compreso che Mood e Mood control, sono definizioni di uno spazio da percorrere, dove il senso del controllo è nell’umore che ne funge da conduttore. Nasce in me spontanea applicarla in quanto indispensabile necessità per definire lo spazio della mia visione, sia nel mio lavoro come, nel mio quotidiano.

Per questo è ricorrente nei miei profili web, essa anticipa e introduce i contenuti di un post.

"Mood Control". Foto: Dario Lasagni
Mood Control. Foto: Dario Lasagni

“Mood…” funge da identità personale e psicologica che condivido. L’umore è quello stato d’animo nel quale sostiamo e percorriamo costantemente il nostro tempo presente, tanto da comprenderne le potenzialità e le variabilità che può presentare. Per questi motivi l’umore diviene traccia percettiva che scorre tra un pensiero e l’altro. Come un ideale sentiero che collega una forma e l’altra, un modulo e l’altro, un campo e l’altro di colore. Mood Control diventa un gruppo di cellule armoniche che si intercettano l’una all’altra, attraverso l’identità della frequenza percettiva, una frequenza indotta a comunicare anche attraverso l’elemento verbale che diviene opera nella scritta MOOD CONTROL.


Di Luca Fortis
Giornalista professionista, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano. Un pizzico di sangue iraniano e una grande passione per l’Africa e il Medioriente. Specializzato in reportage dal Medio Oriente e dal Mediterraneo, dal 2017 vive a Napoli dove si occupa di cultura e quartieri popolari e periferici.