Riflettere sull’arte e i suoi confini è sempre un esercizio molto complesso. FACE Magazine.it ne discute con l’artista e curatore napoletano Nicola Vincenzo Piscopo.

Di Luca Fortis

Nato a Napoli nel 1990, Nicola Vincenzo Piscopo ha studiato pittura all’Accademia di Belle Arti del capoluogo campano. Nel 2013 è stato ospite dell’Università della Georgia per una mostra personale a Tbilisi. Nel 2016 ha co-fondato il collettivo &nd project, occupandosi fino al 2018 della curatela di eventi che hanno messo in contatto artisti e operatori culturali campani insieme ad artist run space nazionali. Nel 2020 ha aperto il proprio studio presso Atelier Alifuoco a Napoli. Nel 2021 ha inaugurato la mostra personale “Collirio” con Galleria Marrocco.
Nicola Vincenzo Piscopo è anche curatore del progetto Quartiere Latino, un museo condominiale a km 0, nato con l’obiettivo di creare una mappatura degli artisti che vivono e lavorano nell’intersezione dei quartieri attorno al condominio dell’Atelier Alifuoco. Nel 2022 ha partecipato ad Exit Strategy durante gli Art Days a Napoli e ha iniziato una collaborazione con Galleria Rubin di Milano.

Nicola Vincenzo Piscopo – Foto: Kristel Pisani

Nicola, che cos’è per te la pittura?
In tutte le opere in cui sto lavorando da anni, mi sto interrogando sulla pittura, su cosa sia e su che tipo di relazione posso creare con questo mezzo. Premettendo che io sono un miscredente, non credo in una serie di miti costruiti attorno alla figura del pittore. Non credo nella riconoscibilità di un artista attraverso il suo stile, elemento che viene visto come simbolo di identità, ma che diventa una prigione che limita le possibilità creative.
Piuttosto sono fermamente convinto che sia necessario esercitare numerosi “stili”, ovvero registri linguistici a seconda di una serie di fattori. Per esempio, il tipo di argomento che si sta trattando, il punto di vista dell’artista o di altri soggetti che l’artista vuole raccontare, la possibilità di catturare lo spettatore su un piano intellettuale o emotivo. Un artista per essere autentico deve accettare i suoi cambiamenti, così come quelli del mondo in cui è immerso. L’unica cosa che può bloccare un artista in uno stile è il mercato.

Come affronti il tema della pittura?
Affronto il tema della pittura come proprietà degli essere umani di comunicare tramite le immagini. Il problema non è semplicemente comunicare, ma pensare attraverso la realizzazione delle immagini. Amo dire che “penso con le mani”. Quindi intendo soprattutto la pittura come esercizio di pensiero e filosofico. E’ il mezzo attraverso il quale mi pongo delle domande, creo la possibilità di costruire, insieme al fruitore, una riflessione. Il mio desiderio è quello di aprire dei sentieri. Metaforicamente, la pittura rende visibili e illumina dei percorsi possibili.
Per via di questo mio approccio all’arte, tutta la mia produzione artistica appare come un produzione collettiva, di diversi artisti. Ma in realtà esistono dei filles rouges che mi accompagnano da sempre. Il tema della relazione con i dispositivi di fruizione delle immagini. Mi interessa come questo rapporto con gli schermi renda l’essere umano un consumista di immagini, vittima di una bulimia visiva. Questa continua bulimia di immagini impedisce un rapporto profondo con il mondo e con se stessi. Inoltre, alimenta insicurezze e narcisismi.

Un altro filles rouges è la violenza. La continua produzione, assunzione e distruzione di immagini, è una catena di violenze.
In questa immaginaria mostra collettiva di artisti diversi un altro elemento che si ritrova spesso è il dolore, in particolar modo quello che scaturisce dalla relazione con l’altro, sempre inaccessibile. Talvolta, questo dramma, trova nelle mie opere, un’espressione ludica.
L’esempio più calzante è la Ritrattoria, un fake restaurant nel quale i clienti, seduti tutti intorno ad un tavolo, vengono serviti dei loro ritratti, fatti sul momenti e indotti a mangiarli.
Questo auto-cannibalismo diventa così un atto proprio di narcisismo e bulimia visiva collettiva, giocosa e drammatica.

Mi racconti altre opere in cui hai trattato questo tema?
C’è una serie di occhi morsicati, intagliati su legno e dipinti in aerografo, che raccontano molto sinteticamente e simbolicamente l’idea dell’identità violata del fruitore contemporaneo, vittima e carnefice allo stesso tempo. L’occhio è oramai un’immagine riprodotta ossessivamente e per me è stato quasi fastidioso realizzarne di nuovi e ancora più fastidioso doverli spiegare, ma questo è la comprova che è negli occhi che cerchiamo l’identità dell’altro e infatti è guardandoci negli occhi che ci innamoriamo.

A proposito di opere sugli schermi e sul dolore, ti mostro un’altra opera in cui 2 occhi stanno piangendo alla vista di immagine su uno smartphone che nessuno può scorgere. L’inaccessibilità dell’altro, messa in esempio nella tutela della privacy, diventa subito l’inaccessibilità del suo dolore e delle sue lacrime.
My eyes è un’opera realizzata con diverse tecniche, come negli occhi precedenti sono ricorso all’intaglio del legno e alla pittura ad aerografo, ma nel dare corpo alle lacrime che dovevano fuoriuscire letteralmente dagli occhi dipinti ho dovuto realizzare delle sculture in resina epossidica.

Mi parli di un’altra opera?
Adesso ti racconto di come la pandemia mi ha indotto a cambiare nuovamente registro linguistico in maniera inaspettata. Allora insegnavo in una scuola media e ho dovuto affrontare anche io la famosa didattica a distanza, ma come docente di sostegno avevo molti momenti di inattività e li utilizzavo per ritrarre i miei studenti.
Il diventare immagine e la relazione umana tramite schermo con la derivata impossibilità di creare empatia con gli studenti mi creava una particolare angoscia che ho riversato una serie di pitture nate in modo molto autentico e naturale.
Il mio approccio pittorico alle immagini negli schermi da quel periodo è diventato più emotivo. La tavolozza piena di colori contrastati e acidi metteva in risalto una specie di agitazione dell’animo. La pennellata striata e i corpi evanescenti evidenziavano lo stato di instabilità dell’identità e l’inconsistenza dell’altro ridotto a presenza.
Come puoi vedere, per mettere in scena l’evidenza della didattica a distanza ho preferito utilizzare delle inquadrature fotografiche tagliate nella forma standard di un 16:9 orizzontale.
Lo shock in una pittura così emotiva lo si ritrova anche nel fatto che sono costretto a ricorrere a immagini pre-esistenti negli schermi, poiché non sono ritratti di persone ma ritratti di immagini di persone che appaiono in webcam. Quindi oltre l’ansia della relazione umana falsata c’è quella della pittura falsata.

Hai fatto un’altra opera sulle video chiamate, me ne parli?
A proposito di relazioni umane falsate, ti mostro un’opera che appare come una natura morta, ma non lo è. Durante le lunghe videochiamate appoggiamo i nostri smartphone su oggetti casuali in casa, per inquadrarci bene, e concentrandoci su quello che succede dentro lo schermo ignoriamo il resto e non badiamo al fatto di aver realizzato una composizione di cose che rientra nel genere della natura morta. Di fatti nessuno direbbe mai che noi siamo umani che parlano con delle cose, però nessuno direbbe mai che il soggetto di quest’opera è il dialogo tra due persone, nel caso specifico una seduta di psicoterapia.
Ero in “videoterapia” con la mia psicologa quando mi rendo conto della natura morta e prendo atto che il vero luogo della conversazione non è la stanza, ma lo schermo. Infatti nella stanza vi sono infinite possibilità che violano il setting analitico, compreso la presenza ipotetica di una donna nuda.
In questo caso subentra una seconda lettura: tutti gli elementi in scena sono presenze simboliche dei vari argomenti di conversazione.

Rifletti anche molto sull’identità, me ne parli?
L’identità è un tema che sono costretto ad affrontare nel momento in cui voglio approfondire le relazioni tra essere umani e il mondo. La Patente del Pittore è un’opera che vuole approfondire questo tema. Qui per esempio è evidente il cambio di registro linguistico, poiché ho dovuto per forza di cose adoperare uno stile pittorico realista e fotografico quando nel 2018 mi è scaduta la patente di guida. Nel rinnovarla ho voluto presentare una fototessera speciale, la fotografia di un mio autoritratto olio su tela.
Eccoci di nuovo nel tema dell’immagine fruita legata all’identità, ma senza alcun impatto emotivo nella fredda pittura realista, senza il tema della violenza. La questione principale qui è che l’opera non è nella pittura, che in questo caso è solo uno strumento, ma nella patente stessa che adesso porto nel mio portafoglio.
Ora è più facile capire come l’adozione di un unico stile rappresenti un ostacolo alla realizzazione artistica.

Mi parli di Delitto Perfetto?
Come nell’opera sulla Patente, il rapporto tra pittura e fotografia, tra creatività e realtà, è al centro di un dittico che ho intitolato Il delitto perfetto.
In questa opera vengono presentate due immagini, la prima è una pittura e la seconda è una fotografia. Nella pittura c’è una imitazione attenta di un angolo del mio studio, nella fotografia vediamo quella pittura messa su un cavalletto che compare e scompare come in un gioco ottico che va a integrare realtà e rappresentazione.
Si chiama Il delitto perfetto perché da una parte richiama ad un saggio di Boudrillard sul tema delle immagini e dei simulacri, dall’altra fa riferimento alla sparizione del colpevole, ovvero dell’artista che ha realizzato una pittura per la fotografia e una fotografia per la pittura. Prima ti ho parlato di come intendo rifuggire la gabbia dello stile qui ti mostro un paio di esercizi atti a produrre l’annichilimento dell’identità artistica.

A cosa stai lavorando ora?
Sono solito lavorare a più opere contemporaneamente, l’opera che dovrò terminare a breve riguarda un sogno che ho fatto circa 15 anni fa, all’inizio della mia produzione di quadri. Disegnai il mattino dopo l’immagine di questo sogno e tutt’ora mi ritrovo a ridisegnarla. é un ricordo troppo denso e carico di senso e in questi mesi lo è sempre di più, poiché il mio studio è strapieno di opere vecchie e nuove e nella difficoltà di concepire opere future e navigare in depositi sovraffollati questo ricordo mi torna con l’urgenza di essere sviluppato.
Ora ne sto facendo un quadro, forse vorrei farne un’installazione per poter permettere alle persone di viverlo in prima persona.
Mi piacerebbe chiudere questa intervista con l’immagine di questo sogno.
Quando ero un giovane ossessionato della sola pittura, chiuso in una cameretta oramai sommerso da tele dipinte e inondato di odori di olio e trementina, sognai di dormire letteralmente seppellito dalle mie tele, quasi come in una accogliente capanna o un letto di morte.

www.instagram.com/nicola_vincenzo_piscopo


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