In tutta Europa sono tante le manifestazioni contro le politiche nazionali ed europee. Tra le motivazioni, ci sono i costi del gasolio, il green deal, ma anche l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue.

La Redazione

Migliaia di agricoltori, a bordo dei propri trattori, stanno protestando in molte città europee, da Berlino a Parigi, da Bruxelles a Roma e Milano. La rivolta dei trattori è legata a politiche nazionali e ed europee e riguarda molti temi: il fronte comune è quello dell’opposizione alle politiche europee del Green Deal, ma la protesta assume connotati diversi a seconda dei Paesi. Secondo molti analisti, diventerà uno dei temi centrali per le elezioni europee di questa primavera.

I motivi delle proteste

Le rivendicazioni comuni sono redditi e aiuti più alti, contrarietà ai paletti del Green Deal giudicati troppo rigidi e che, secondo molti agricoltori non farà altro che altro che rendere il settore agricolo europeo meno competitivo rispetto alle importazioni. Si chiedono aiuti contro il caro energia, le epidemie come l’aviaria e la concorrenza sleale del resto del mondo. Un elemento di preoccupazione per gli agricoltori è anche l’ingresso nell’Ue dell’Ucraina per l’arrivo di prodotti agricoli (soprattutto cereali) a prezzi più bassi di Kiev. Produrre alcuni prodotti in Ucraina infatti costerebbe la metà che in alcuni Paesi europei: ciò chiama in causa la ripartizione dei sussidi comunitari e già si parla di una possibile riforma della PAC.

La Politica Agricola Comune (PAC), per poter accedere ai contributi comunitari, prevede l’obbligo di destinare almeno il 4% dei terreni coltivabili a funzioni non produttive e l’obbligo di effettuare rotazioni delle colture e di ridurre l’uso di fertilizzanti di almeno il 20%. Per gli agricoltori sono decisioni che renderanno il settore agricolo europeo meno competitivo rispetto all’import. Nel 2023 c’è stata una deroga al vincolo del 4% dei terreni a riposo ed ora la Commissione Ue ne propone un’altra anche per il 2024, ma per i manifestanti non basta.
Altre richieste riguardano il ritardo dell’immissione sul mercato europeo della carne sintetica e misure che regolino l’uso di impianti fotovoltaici su terreni produttivi.

I coltivatori italiani, inoltre, da tempo lamentano gli alti costi del gasolio e sussidi più equi. Le contestazioni sono rivolte anche al governo Meloni che ha reintrodotto l’Irpef, ha cancellato le decontribuzioni a favore dei giovani imprenditori del settore agricolo e non ha rinnovato il credito d’imposta, introdotto dal governo Conte II, sulle transazioni 4.0 su agricoltura e pesca. Inoltre il governo Meloni non ha tolto le accise sul carburante agricolo, come promesso in campagna elettorale. E c’è chi ricorda che FdI e Lega hanno anche votato la riforma della PAC che gli agricoltori contestano. Sabato a Catania, la premier Meloni ha detto che le risorse passeranno da 5 a 8 miliardi. Non si tratta tuttavia di nuove risorse, ma sono il frutto della rinegoziazione con la Commissione Ue, definita oltre due mesi fa.